Personaggio storico Bartolomeo Ammannati

Nato nel: 1511  - Deceduto nel: 1587
Bartolomeo Ammannati è stato un'artista fra i più notevoli e inquieti del secolo, fu un tipico interprete del manierismo più "intellettuale", destinato alle élite delle raffinate corti principesche, e amante della "bella maniera" italiana, della quale fu un valido continuatore. Formatosi come scultore, la sua opera, dopo l'iniziale successo, fu criticata da alcuni contemporanei, ottenendo giudizi poco entusiasti fino alla sua riscoperta recente da parte della critica moderna. Come architetto invece fu un instancabile innovatore, capace di soluzioni ardite e scenografiche, che lasceranno un segno nel lessico architettonico europeo. Nella fase più matura si accostò al mondo dei Gesuiti, sia spiritualmente, che professionalmente. Sulla base delle pressanti istanze religiose e moralistiche dell'ordine, giunse a condannare le sue posizioni giovanili, abbracciando lo spirito della controriforma.

Nato a Settignano (Firenze) nel 1511, rimase orfano di padre a dodici anni e per vivere entrò nella bottega di Baccio Bandinelli. Intorno al 1530 si recò a Venezia attratto dalla fama di Jacopo Sansovino, che ebbe modo di conoscere. Lavori di scultura di questo primo periodo, ricordati da Raffaello Borghini, il suo principale biografo, sono per lo più perduti, come il rilievo con Dio Padre e angeli per il Duomo di Pisa e una Leda per Guidobaldo II Della Rovere, mentre restano un San Nazario, un David e una Giuditta (originarimanete scolpiti come Apollo e Minerva) alla tomba di Jacopo Sannazaro nella chiesa di Santa Maria del Parto a Mergellina (Napoli).

Nel 1537 tornò a Venezia, dove collaborò con Jacopo Sansovino alla decorazione della Libreria di San Marco, scolpendo un Nettuno (distrutto per un crollo nel 1750) e ad alcuni rilievi in archi e sottarchi. Nel 1544 si trasferì poi a Padova, dove entrò sotto la protezione di Marco Mantua Benavides e per il cui palazzo scolpì un Ercole, un Giove e un Apollo ancora nelle nicchie in loco. Nel 1546 nello stesso palazzo disegnò probabilmente l'arco e, lo stesso anno, progettò il sepolcro per il Mantua Benavides nella chiesa degli Eremitani.

Nel 1550 sposò ad Urbino la poetessa Laura Battiferri, con la quale non ebbe figli ma rimase amorevolmente legato tutta la vita, e si trasferì a Roma alla corte di Giulio III, presentato da Vasari. Quest'ultimo gli procurò come primo incarico la realizzazione della statuaria della cappella di Antonio e Fabiano del Monte in San Pietro in Montorio, alla cui architettura aveva lavorato Vasari stesso. Realizzò quindi, entro il 1553, i giacenti di Antonio e di Fabiano e le allegorie della Giustizia e della Religione, in cui si rileva già un addolcimento dei modi michelangioleschi allora dominati, secondo stilemi appresi dal Sansovino.

Studioso di "cose antiche", a Roma l'Ammannati entrò nei circoli del Vignola, col quale mise a punto le sue prime prove come architetto: dal 1552 a villa Giulia, la nuova villa del papa sulla via Flaminia, accanto ai suoi due protettori Vasari e Vignola, poi fece un modello in legno per la fonte all'angolo di via dell'Arco oscuro (inglobata poi con modifiche nel casino di Pio IV, e in particolare sovrintese ai lavori di una parte del secondo cortile della villa e del loggiato intermedio, dove scolpì il proprio nome su un pilastro. In particolare creò il ninfeo, con fontane e grotte a tre livelli che costituiscono l'elemento "sorpresa" del cortile, secondo un gusto tipico del manierismo.

Ancora per il papa curò il restauro e l'ammodernamento del palazzo Cardelli in Campo Marzio, poi detto "di Firenze", che aveva acquistato nel 1553.

Nel 1555, alla morte di Giulio III, se ne tornò a Firenze, dove l'aveva mandato a chiamare Vasari, già da un anno trasferitosi alla corte di Cosimo I de' Medici. Il primo lavoro che attese fu quello di una grande fontana detta di Giunone da collocare in palazzo Vecchio, nel salone dei Cinquecento, dirimpetto alla tribuna del Bandinelli, opera travagliata che finì per essere collocata da Francesco I nel giardino di Pratolino. Le statue dell'insieme (l'Arno, la Fonte del Parnaso, Allegoria di Firenze, la Maturità del Consiglio e la Terra), scolpite tra il 1555 e il 1561, furono definite da Michelangelo una "bella fantasia", e solo recentemente sono state riunite nel cortile del Bargello, in occasione della mostra del Cinquecentenario di Ammannati, mentre prima erano smembrate in parte qui e in parte nel giardino di Boboli.

Nel 1559 partecipò al concorso per un'altra fontana, destinata ad essere la prima pubblica di Firenze, da collocare in piazza della Signoria, a culmine dell'importante costruzione di un acquedotto che dalla collina a sud della città portava acqua salubre nella parte nord, passando sotto l'Arno. L'Ammannati, favorito da Eleonora di Toledo, risultò vincitore contro Benvenuto Cellini, il Giambologna e Vincenzo Danti (morto in quel periodo fu il Bandinelli), iniziando le fondazioni dell'opera il 10 marzo 1563 e inaugurandola nel 1577. Si tratta della fontana del Nettuno, composta da una vasca dal disegno elegantissimo, dal cocchio del dio e dalla sua statua colossale, la terza e ultima in ordine cronologico tra i giganti ammannatiani, dopo quello (perduto) per la Marciana e quello per il giardino di Marco Mantova Benavides, a Padova.

Il Nettuno però, citando il vicino David di Michelangelo, fu aspramente criticato, non solo dai rivali (aspro il commento del Cellini, che nella sua autobiografia descrisse l'artista come il "degno" seguace dell'odiato Baccio Bandinelli), ma anche dagli intellettuali di corte (il Borghini scrisse come "[non poté] far mostrare alla sua figura attitudine con le braccia alzate; ma fu costretto a farla con grande difficultà come oggi si vede") e anche dal popolo minuto, che coniò per la statua l'appellativo di "Biancone" con cui ancora oggi è nota, intendendo come l'unica cosa che colpisce di essa è il bianco del marmo, oltre al ritornello canzonatorio "Ammannato, Ammannato, quanto marmo hai sciupato!". Solo in tempi recenti la sua opera è stata oggetto di rivalutazione, sottolineandone le novità anticlassiche e la sintesi tra il titanismo di Michelangelo e le dolcezze di matrice veneta.

Nonostante le critiche continuò a lavorare anche ad altre fontane e statue da giardino, quali il gruppo di Ercole e Anteo per la fontana del Tribolo, e la statua dell'Appennino (detta anche Gennaio, 1563-1565), tutte nei giardini della villa di Castello.

Questo periodo di felici realizzazioni portò al crescere della propria fama, che lo fece richiedere anche in altre città. Nel 1572 Gregorio XIII gli commissionò la tomba per il nipote Giovanni Boncompagni nel Camposanto di Pisa, realizzando una statua di Cristo tra le personificazioni della Pace e della Giustizia. A Lucca gli venne richiesta la ricostruzione del palazzo degli Anziani (1577-1581), in cui terminò solo la facciata minore sul cortile degli Svizzeri. A Volterra progettò il cortile della badia dei Santi Giusto e Clemente e palazzo Viti, ad Arezzo la chiesa di Santa Maria in Gradi, e a Seravezza, in alta Versilia, il palazzo Mediceo (1564).

Tornò a Roma a più riprese tra il 1560 e il 1572, progettando il palazzo Mattei Caetani (1564) e il palazzo Ruspoli (avviato nel 1586) e soprattutto il restauro e ampliamento della villa Ricci al Pincio per il cardinale Ferdinando de' Medici, sollecitata fin dal 1570.

Dal 1572 sono documentati i primi contatti dell'artista con l'ordine dei Gesuiti, a proposito di un progetto di ampliamento del collegio fiorentino (oggi palazzo degli Scolopi). Nel 1575 e nel 1576 l'Ammannati fu a Roma, dove strinse amicizia con il padre generale dell'ordine Everardo Mercuriano e con padre A. Possevino, forse con l'intermediazione del patrizio fiorentino Ludovico Corbinelli, che si era fatto gesuita nel 1567.

I lavori al collegio fiorentino si avviarono nel 1579 e interessarono anche l'annessa chiesa di San Giovannino. Con l'aiuto del capomastro padre Domenico da Verdina la chiesa, che riecheggiava la chiesa del Gesù a Roma nella struttura a navata unica con cappelle poco profonde e transetto formante la croce latina, venne già aperta al culto a metà dei lavori nel 1581, e ultimata nel 1584, mentre nel 1585 il collegio era pressoché ultimato.

Chiamato a Roma da Sisto V, per essere consultato circa l'erezione dell'obelisco vaticano (opera affidata poi a Domenico Fontana) e la costruzione della cappella del Presepio in Santa Maria Maggiore, vi arrivò affaticato e malato (Borghini).

Il 25 marzo 1587 fece testamento con la moglie, eleggendo come erede universale il collegio gesuitico fiorentino, non avendo figli. Nel novembre del 1589 perse la consorte, che lo aveva nominato erede usufruttuario. Gli ultimi anni di vita furono dedicati alle opere religiose. Dopo un nuovo testamento datato 19 marzo 1592, spirò il 13 aprile per paralisi, nella sua casa di via della Stufa. Fu sepolto assieme alla moglie nella chiesa gesuita di San Giovannino a Firenze.

Bartolomeo Ammannati Dove ha soggiornato

Biblioteca Medicea Laurenziana

 Piazza San Lorenzo, 9 - 50123 Firenze - Firenze
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La Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze è una biblioteca edificata nel XVI secolo per volontà di Papa Clemente VII e arricchita da Lorenzo il Magnifico. Progettata da Michelangelo, conserva... vedi

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La Biblioteca Marciana si trova in Piazza San Marco, tra il Campanile e la Zecca, ed è la biblioteca più importante di Venezia, nonché una delle più grandi d’Italia, sorta in seguito alla... vedi

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