Papa Pio VI, nato Giovanni Angelico o Giannangelo Braschi; è stato il 250º vescovo di Roma (249º successore di Pietro) e papa della Chiesa cattolica dal 15 febbraio 1775 alla morte.
Angelo Onofrio Melchiorre Natale Giovanni Antonio Braschi nacque a Cesena, presso Forlì, il 25 dicembre 1717, figlio primogenito del conte Marco Aurelio Tommaso Braschi e della contessa Anna Teresa Bandi. Suoi fratelli e sorelle furono Felice Silvestro, Giulia Francesca, Cornelio Francesco, Maria Olimpia (poi monaca), Anna Maria Costanza, Giuseppe Luigi e Maria Lucia Margherita. Egli venne battezzato il giorno stesso della sua nascita da padre Tommaso Mustioli, vice parroco della cattedrale di Cesena, e suoi padrini furono il conte Fabio Locatelli e la contessa Bianchini Fantaguzzi.
Avviato alla carriera ecclesiastica, dal 1727 entrò nel collegio dei gesuiti di Cesena e, dopo aver conseguito il dottorato in utroque iure presso l'Università di Cesena il 20 aprile 1735, entrò a far parte del Collegio dei venti giuristi della città. Si trasferì quindi all'Università di Ferrara ove completò i suoi studi giuridici sotto la guida dello zio, il cardinale Giovanni Carlo Bandi.
Fu durante questo periodo che egli divenne segretario personale del cardinale Ruffo, divenendone anche conclavista nel 1740 e venendo chiamato a rappresentarlo come uditore nei suoi vescovati di Ostia e Velletri sino al 1753, prendendo residenza in quest'ultima città. Per la sua organizzazione della difesa della città di Velletri durante la battaglia che qui ebbe luogo l'11 agosto 1744 tra forze austriache e napoletane nell'ambito della guerra di successione austriaca, il re Carlo VII di Napoli (quindici anni dopo divenne re di Spagna col nome di Carlo III di Spagna), intrattenne con lui ottime relazioni che serviranno al giovane Braschi una volta eletto al soglio pontificio. Nel 1746 il pontefice Benedetto XIV lo inviò a Napoli per risolvere dei conflitti giurisdizionale sorti tra Roma e il regno del sud per i tribunali vescovili: la missione ebbe successo ed egli riuscì ad ottenere le dimissioni dell'arcivescovo di Napoli, il cardinale Giuseppe Spinelli, venendo nominato come ricompensa al rango di monsignore col titolo di cappellano privato di Sua Santità, entrando così a far parte della prelatura romana. Dopo la morte del cardinale Ruffo il 16 febbraio 1753 il papa Benedetto XIV, stimandolo moltissimo, lo nominò suo segretario e canonico di San Pietro dal 17 gennaio 1755.
Fu solo nel 1758 che Braschi venne ordinato sacerdote ed in quello stesso anno papa Clemente XIII lo nominò prelato domestico di sua santità nonché Referendario del Tribunale della Segnatura Apostolica dal 14 settembre. Nel settembre del 1759 venne nominato uditore civile e segretario del cardinale camerlengo Carlo Rezzonico, nipote di papa Clemente XIII, venendo introdotto dal 1762 come consultore del Sacro Collegio dell'Indice. Uditore generale e decano del sacro collegio dei cardinali per la diocesi di Velletri dal 1765, il 22 settembre 1766 venne nominato tesoriere della Camera Apostolica, ottenendo nell'ottobre dell'anno successivo il titolo di Abate commendatario di Santa Maria di Valdiponte presso Perugia. Avendo il Braschi acquisito una notevole fortuna e molti contatti importanti, molti si sentirono danneggiati dalle avvedute economie da lui realizzate, tanto da indurre Clemente XIV a promuoverlo cardinale del titolo di Sant'Onofrio il 26 aprile 1773, riuscendo a renderlo temporaneamente inoffensivo. Tale nomina fu anche fortemente voluta dai Borbone di Napoli che tenevano in grande considerazione il prelato.
Nel conclave di ben quattro mesi che seguì alla morte di Clemente XIV, Spagna, Francia e Portogallo tolsero una dopo l'altra il proprio veto all'elezione del cardinale Braschi, che, pur essendo amico dei Gesuiti, aveva preso le distanze da tutte le controversie politico-religiose.
La sede vacante fu così finalmente occupata il 15 febbraio 1775 dal nuovo pontefice, che prese il nome di Pio VI.
Pio VI venne eletto pontefice quando ancora non era stato nominato vescovo e pertanto si rese necessaria, prima della sua definitiva presa di possesso della Santa Sede, la sua consacrazione a vescovo. Il 22 febbraio 1775 Pio VI, ancora col nome di Giannangelo Braschi, venne consacrato cardinale vescovo di Porto e Santa Rufina, nonché vice-decano del Sacro Collegio dei Cardinali, alla presenza anche del cardinale Enrico Benedetto Stuart, duca di York e vescovo di Frascati, e di Carlo Rezzonico, vescovo di Sabina.
Il cardinale Braschi rinunciò ai titoli appena ottenuti il giorno stesso come mera formalità e quindi il 22 febbraio 1775 venne incoronato pontefice dal cardinale protodiacono, Alessandro Albani. La domenica successiva egli aprì ufficialmente la Porta Santa della basilica di San Pietro, dando inizio all'anno giubilare 1775. La cerimonia del "possesso" (cioè la cerimonia in cui il papa veniva ufficialmente intronizzato) ebbe luogo il 30 novembre 1775 e fu quella l'ultima volta in cui questa ebbe luogo, tra sfarzi e solennità.
La Chiesa alle soglie della rivoluzione era vittima di un ostile isolamento promosso dai sovrani europei allo scopo di limitarne le prerogative. Per la verità Febronio, il principale esponente tedesco delle vecchie tesi gallicane fu costretto, non senza provocare scandalo, a ritrattare, tuttavia le sue posizioni furono fatte proprie dall'Impero austriaco. In questo paese le riforme in campo sociale e religioso intraprese da Giuseppe II e dal ministro Kaunitz mettevano in discussione la supremazia di Roma. La risposta di Pio VI fu diplomatica: il Papa prese la straordinaria decisione di visitare personalmente Vienna. Egli partì da Roma il 27 febbraio 1782 ma, sebbene fosse ricevuto con tutti gli onori dall'imperatore, alla fine la sua missione si risolse in un nulla di fatto. Nonostante ciò, qualche anno più tardi, al congresso di Ems riuscì ad arginare il desiderio di autonomia espresso da alcuni arcivescovi tedeschi.
Nel Regno di Napoli il ministro degli Affari esteri Bernardo Tanucci sollevò delle obiezioni circa i diritti feudali e nel 1776 tentò di abolire l'omaggio della chinea, proposito che fu poi conseguito dal primo ministro Domenico Caracciolo nel 1788. Inoltre, all'epoca Napoli era il centro diffusore della massoneria in Italia. Il Papa, temendo il peggio, concluse un trattato difensivo con re Ferdinando IV.
Nel Granducato di Toscana sorsero problemi con il granduca Pietro Lepoldo e con Scipione de' Ricci, vescovo di Pistoia e Prato, filofrancese, sulla questione della riforma in Toscana. Pio VI in entrambi i casi mostrò prudenza. Infine, Pio VI aspettò che passassero 8 anni prima di condannare le deliberazioni uscite dal Sinodo di Pistoia del 1786.
Allo scoppio della Rivoluzione francese, Pio VI vide la soppressione dell'antico rito gallicano e la confisca di tutti i possedimenti ecclesiastici in Francia, e dovette subire l'onta di vedere il proprio stesso ritratto dato alle fiamme dalla folla nel Palazzo Reale. Pio VI cercò di prendere di petto la questione: il 10 marzo 1791 condannò con il breve Quod aliquantum la Costituzione civile del clero, approvata dall'Assemblea nazionale francese nel luglio del 1790. I rivoluzionari, per rappresaglia, invasero Avignone, ove, nell'ambito della lotta fra chi sosteneva l'annessione alla Francia e i sudditi fedeli al pontefice, una sessantina di questi ultimi furono condannati sommariamente a morte e barbaramente uccisi in una delle torri del palazzo dei Papi. Tale tragico evento è ricordato come i «massacri della ghiacciaia» (Massacres de la Glacière).
Pio VI condannò anche la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, provocando in Francia una spaccatura[senza fonte]. Anche il clero si divise, fra sacerdoti costituzionalisti (capeggiati dal famoso abbé Grégoire) e fedeli al Papa (i cosiddetti "preti refrattari"). L'assassinio del rappresentante repubblicano francese Ugo di Basseville, avvenuto nelle strade di Roma nel gennaio 1793, peggiorò ulteriormente la situazione: la corte papale fu accusata di complicità dalla Convenzione nazionale.
Nel 1796 Napoleone invase l'Italia e puntò le armi contro lo Stato Pontificio, costringendo il papa all'armistizio di Bologna: Pio VI dovette cedere Bologna, Ferrara e Ancona, versare 21 milioni di scudi e consegnare numerose opere d'arte. L'esercito pontificio fu sconfitto (10 febbraio 1797) e il 18 febbraio i francesi saccheggiavano il Santuario di Loreto. Il Pontefice fu perciò costretto a siglare il Trattato di Tolentino (febbraio 1797), che allo Stato Pontificio costò altri 25 milioni di scudi e numerosi oggetti d'arte.
La situazione, già di per sé grave, subì un ulteriore peggioramento il 28 dicembre dello stesso anno, quando, nel corso di un tumulto provocato da alcuni rivoluzionari italiani e francesi, il generale Léonard Duphot fu ucciso, e ciò fornì il pretesto per l'occupazione di Roma. Il generale Berthier marciò sulla città, occupandola senza incontrare resistenza[senza fonte] e dandosi poi al saccheggio dei tesori d'arte del Vaticano, tra cui la requisizione di quasi l'intero Museo Profano, dedicato alle pietre preziose antiche. Il 15 febbraio 1798, deposto il Papa come principe temporale, vi proclamò la repubblica.
Pio VI fu fatto subito prigioniero e, il 20 febbraio venne scortato da uomini armati dal Vaticano a Siena, dove rimase tre mesi, e quindi alla Certosa di Firenze (il Granducato era uno Stato neutrale), dove fu segregato nel convento. Nel marzo del 1799 venne deciso di trasferirlo nuovamente, in seguito alla dichiarazione di guerra della Francia contro la Toscana. Si decise di portarlo a Bologna, credendola città anticlericale. Ma, quando i francesi lo esposero al popolo, Pio VI, invece di essere ingiuriato, venne acclamato[1]. Fu allora decretata la sua carcerazione in Francia. Il Papa, quasi ottantaduenne, venne internato prima a Grenoble, poi il 19 luglio fu rinchiuso nella fortezza di Valence, capoluogo della Drôme. Logorato dai patimenti fisici e morali Pio VI si spense in prigione il 29 agosto dello stesso anno, pronunciando queste ultime parole: «Signore, perdonali», unico papa esiliato e morto in cattività nell'età moderna. Il pontificato di Pio VI fu il più lungo ed il più tormentato del XVIII secolo.
Il suo corpo rimase insepolto fino al 29 gennaio del 1800 quando venne sepolto nel cimitero locale di Valence, deposto in una cassa semplice, di quelle riservate ai poveri, su cui fu scritto: «Cittadino Gianangelo Braschi - in arte Papa». Dal municipio di Valence fu notificata al Direttorio la morte del pontefice, cui si aggiungeva la laica profezia che si era sepolto l'ultimo papa della storia. La salma venne successivamente riportata a Roma il 24 dicembre 1801 ove ottenne le esequie ufficiali il 10 febbraio 1802, cerimonia presieduta dal successore, papa Pio VII. Per decreto di papa Pio XII, nel 1949, i resti di Pio VI vennero spostati dalla Cappella della Madonna di San Pietro nelle Grotte Pontificie, posti in un antico sarcofago romano di marmo ritrovato durante gli scavi.