Maffeo Barberini
era il quinto dei sei figli di un ricco mercante fiorentino. Come
tutti i rampolli di famiglie doviziose, studiò presso i Gesuiti
prima, e presso il Collegio Romano poi. Trasferitosi a Pisa
conseguì la laurea in legge così come era desiderio della
famiglia.
A soli vent'anni
entrò, come avvocato, nell'amministrazione dello Stato Pontificio
ove svolse una lunga e prestigiosa carriera, coronata anche
dall'incarico di Nunzio apostolico a Parigi. All'età di 38 anni,
ovvero nel 1606, ricevette la berretta cardinalizia da Papa Paolo
V, che gli fu imposta addirittura dalle mani di Enrico IV, re di
Francia.
Morto lo zio che,
da giovane, lo aveva ospitato a Roma, ne ereditò il cospicuo
patrimonio, con il quale acquistò un prestigioso palazzo,
arredandolo in maniera estremamente sfarzosa, sullo stile
rinascimentale, lussuoso a tal punto da diventare il personaggio
più in vista e importante di Roma.
Il pontificato
del Barberini si aprì quando la c.d. "guerra dei
trent'anni" era in pieno svolgimento. Le operazioni belliche
erano, infatti, già iniziate da ben cinque anni e si stava per
concludere il cosiddetto "periodo boemo-palatino" con la
sconfitta dei protestanti, la vittoria degli imperiali e l'esilio
di Federico V, principe elettore del Palatinato.
Stava per
iniziare il c.d. "periodo danese" che vedeva uno
schieramento di alleanze alquanto diverso da quello che aveva
caratterizzato il precedente periodo. La Francia, infatti, non era
più nelle mani della "reggente" Maria de' Medici, ma in
quelle del potente Cardinale Richelieu, primo ministro di Luigi
XIII. Il Richelieu, pur cattolico, non intendeva più appoggiare
il cattolicissimo Impero asburgico, onde evitare un nuovo
accerchiamento come ai tempi dell'Imperatore Carlo V. Facendo,
quindi, prevalere la ragion di stato, si schierò dalla parte
dell'alleanza tra l'Inghilterra, l'Olanda e la Danimarca, in
funzione antiasburgica. La qual cosa significava l'appoggio della
Francia ai principi luterani, con la conseguenza della fine di
ogni possibilità di restaurazione cattolica in Europa.
Urbano VIII,
ritenendo che la guerra in Europa si combattesse ancora per fini
di religione, si era schierato con la sua amata Francia ancor
prima che il Richelieu decidesse di schierarsi contro l'Impero.
Questo errore di valutazione politica e strategica ebbe come
conseguenza la perdita di credibilità della figura del Papa come
arbitro delle controversie internazionali.
L'errore
fondamentale del Barberini stava nel fatto che, invece di proporsi
come arbitro delle controversie religiose, egli tentò di proporsi
come arbitro delle controversie politiche tra gli Stati in lotta,
autoproclamandosi, in tal modo, egli stesso come uno Stato al di
sopra degli Stati. Non si era reso conto che lo Stato Pontificio,
con lo scoppio della guerra dei trent'anni, non contava più
nulla; il suo potere temporale non esisteva più.
Nel 1627 con la
costituzione Debitum istituì la Congregazione dei Confini
per provvedere alla difesa dello Stato Ecclesiastico, impedendo
ogni cessione illegale, risolvendo ogni vertenza giurisdizionale
interna o con gli stati esteri limitrofi e cercando di riacquisire
i territori ingiustamente perduti.
Una vicenda
alquanto sensazionale lo vide impegnato nella impresa della
riconquista del Ducato di Castro e Ronciglione, che in quel
momento era nelle mani di Odoardo Farnese. Il Ducato di Castro,
ubicato alle porte di Roma, era stato assegnato da Papa Paolo III
(Alessandro Farnese) ai nipoti, unitamente a notevoli privilegi
fiscali. Ma Urbano VIII aveva in odio la famiglia Farnese, per cui
intendeva impadronirsi del Ducato per sostituirsi ad essa.
Approfittando che
i Farnese in quel momento erano fortemente indebitati presso
alcuni banchieri romani, il Papa confiscò tutti i loro beni e
dichiarò loro guerra. Il Ducato di Castro fu occupato nel mese di
ottobre del 1641; successivamente Odoardo Farnese fu scomunicato e
il Pontefice lo dichiarò decaduto da tutti i diritti di proprietà
e sovranità, minacciandolo di privarlo anche del Ducato di Parma
e Piacenza.
Fallito ogni
tentativo di giungere ad un accordo, il Papa dichiarò che il
Ducato di Castro era possedimento della Chiesa e la famiglia
Farnese ne aveva usurpato il titolo. L'atteggiamento del Papa su
questa vicenda, però, indusse gli altri principi italiani a
guardare con sospetto la posizione del Pontefice. Costui, infatti,
se fosse venuto in possesso anche del Ducato di Parma e Piacenza,
avrebbe costituito una potenziale minaccia all'integrità
territoriale degli Stati dell'Italia del Nord, soprattutto perché
Urbano VIII era appoggiato dalle armi francesi.
Odoardo Farnese,
presa coscienza di avere l'appoggio di tutte le Signorie
dell'Italia del Nord, e ottenuta l'alleanza di Firenze e Venezia,
allestì un piccolo esercito, alla testa del quale marciò verso
Roma, dando inizio ad una vera e propria guerra che andò avanti,
con alterna fortuna, per ben quattro anni. Le operazioni militari
ebbero termine soltanto a causa dell'esaurimento delle finanze da
parte di tutti i belligeranti. Nel 1644 si raggiunse un accordo di
pace che vide non solo la revoca della scomunica da parte del
Papa, ma anche la restituzione del Ducato di Castro al Farnese. Si
era consumato, in tal modo, un altro fallimento della politica di
Urbano VIII. Durante il suo pontificato, il Barberini attinse a
mani basse nelle casse dello Stato, sia per favorire i suoi
familiari cui concesse cospicue donazioni consentendo
arricchimenti scandalosi e illeciti e sia per realizzare i
numerosi interventi edilizi, civili e militari, che
caratterizzarono il suo ventennio sulla cattedra di Pietro. Ciò
comportò un dissanguamento delle finanze dello Stato che impose
il ricorso a numerose ed elevate tassazioni esclusivamente verso
il popolo, facendo salvi i privilegi della classe nobiliare e del
clero.
Durante il suo
pontificato convocò otto Concistori, nel corso dei quali
procedette alla nomina di ben 74 cardinali. Tra essi figuravano
Francesco Barberini e Antonio Barberini, rispettivamente nipote e
fratello del Papa; Giovanni Battista Pamphili, Patriarca titolare
di Antiochia che sarà eletto Papa il 5 settembre 1644 col nome di
Innocenzo X; Antonio Barberini, altro nipote del Papa; Ascanio
Filomarino, Arcivescovo di Napoli; Marco Antonio Bragadin, Vescovo
di Vicenza. Elevò agli onori degli altari molti santi, tra i
quali ricordiamo Francis Xavier, Filippo Neri, Aloisio Gonzaga e
Ignazio di Loyola.
Fin da giovane si
era dilettato a comporre versi, in latino e in volgare, ridondanti
nella forma e miseri nel contenuto; nel perfetto stile barocco
della sua epoca. Anche da Papa continuò in questa sua attività,
tant'è che nel 1637 diede alle stampe una raccolta di sue
composizioni sottoscrivendosì, però, semplicemente come Maphei
Cardinalis Barberini; ma si impegnò, invece, a divulgarla
facendo ricorso al suo potere di capo della Chiesa.
Si circondò di
poeti con cui era entrato in rapporti di amicizia (alcuni dei
quali dal talento discusso o comunque di minore notorietà) - come
ad esempio Gabriello Chiabrera (che presso i Gesuiti a Roma aveva
studiato durante l'infanzia, Giovanni Ciampoli o Francesco
Bracciolini - cui diede il compito di "cristianizzare"
la poesia, in perfetto ossequio ai princìpi della Controriforma.
Ebbe rapporti
particolarmente stretti con due gesuiti stranieri, Giacomo Balde,
alsaziano e Casimiro Sarbiewski, polacco, la cui collaborazione
nel rifacimento degli inni del suo Breviario romano,
produsse soltanto un perfezionamento formale con un notevole
impoverimento dei contenuti.
Urbano VIII non
fu l'unico Papa-poeta. Era stato preceduto, anni addietro, da
Leone X. Come il Medici, anche il Barberini amava circondarsi di
poetastri e menestrelli che allietavano le giornate del Pontefice
soprattutto nel periodo estivo, allorquando la corte si trasferiva
nel palazzo apostolico di Castel Gandolfo.
Chiamò a Roma e
diede loro asilo e protezione anche altri artisti, come Athanasius
Kircher, erudito di multiforme ingegno, Giovanni Girolamo
Kapsberger, musicista e virtuoso della Tiorba, e i pittori Claude
Lorrain, lorenese e Nicolas Poussin, francese anch'egli.
Probabilmente il
merito maggiore di Urbano VIII è ascrivibile agli interventi
edilizi che caratterizzarono tutto il suo pontificato e che furono
affidati agli artisti più eccelsi della sua epoca, anche se le
opere volute dal Papa furono realizzate a danno di altre
monumentali opere che erano pervenute a lui, pressoché intatte,
sfidando per secoli l'incuria degli uomini e l'inclemenza del
tempo.
Il baldacchino in
bronzo sull'altare maggiore al centro della crociera della
Basilica di San Pietro, opera del Bernini, è, forse, la più alta
espressione della scultura barocca. Nei bassorilievi che ornano la
scultura, l'artista volle rappresentare la Mater Ecclesia con un
doppio volto, la sofferenza della partoriente e la gioia del bimbo
che si affaccia alla vita. Nel 1621, dopo ben 170 anni di lavori,
ebbe a consacrare la nuova Basilica di San Pietro, ancorché
incompleta nei suoi ornamenti interni, così come era stata
configurata da Michelangelo.
Oltre a Gian
Lorenzo Bernini, Urbano VIII affidò la realizzazione di numerose
opere anche ad altri prestigiosi artisti, quali Andrea Sacchi,
Pietro da Cortona e Carlo Maderno, al quale ultimo si deve la
sistemazione del palazzo apostolico di Castel Gandolfo, come lo
vediamo ancora oggi.
Fu costruita la
Biblioteca Barberini nella quale furono raccolti numerosi e
preziosissimi manoscritti; il Palazzo Barberini ai piedi del
Quirinale, il Palazzo c.d. di Propaganda Fidei, la fontana del
Tritone e numerose Chiese. In campo militare procedette al
potenziamento di Castel Sant'Angelo, fece fortificare l'intera
città di Castelfranco e trasformò il porto di Civitavecchia in
un vero e proprio porto militare.
Come detto,
queste opere furono, però, realizzate attingendo i materiali da
altre opere che erano pervenute al Barberini sfidando i secoli.
Tutti i bronzi del Pantheon, ad esempio, sia quelli delle travi
dell'atrio che il rivestimento interno della cupola, furono
rimossi, nuovamente fusi e riutilizzati per i cannoni di Castel
Sant'Angelo e per il Baldacchino in San Pietro. Inoltre, tutti i
marmi del Colosseo furono riutilizzati per abbellire i palazzi
romani e le pietre furono utilizzate addirittura per costruire
nuovi palazzi. In altri termini, il Colosseo fu utilizzato come
cava di materiali da costruzione. Questo scempio fece esclamare a
Pasquino: Quod non fecerunt Barbari, fecerunt Barberini (Ciò
che non fecero i Barbari, lo fecero i Barberini).
Il pontificato di
Urbano VIII vide compiersi il processo a Galileo Galilei, quale
sostenitore della teoria copernicana sul moto dei corpi celesti,
in opposizione alla teoria aristotelica-tolemaica sostenuta dalla
Chiesa. La vicenda era nata sotto il pontificato di Camillo
Borghese, Papa Paolo V (1605-1621).
Nel 1616,
precisamente il 24 del mese di febbraio, il Sant'Uffizio ebbe a
condannare la teoria copernicana con una duplice motivazione. La
prima condannava l'affermazione che il Sole era localmente
immobile al centro del sistema planetario ad esso circostante, in
quanto contrastante con l'interpretazione letterale delle Sacre
Scritture. La seconda condannava l'affermazione che la Terra non
è centro del Mondo, ma si muove intorno al Sole, in quanto
contrastante con i principi della Fede. Dopo di che la
Congregazione dell'Indice passò alla condanna del De
revolutionibus orbium celestium di Copernico e di tutti i
testi ad esso collegati.
Galilei, sul
finire dello stesso mese, si recò dal Cardinal Roberto Bellarmino,
capo del Sant'Uffizio e primo sostenitore della condanna a
Giordano Bruno, dal quale ottenne una lettera di attestazione
nella quale il prelato affermava che lo scienziato non aveva mai
ricevuto alcuna condanna e non aveva mai abiurato alcunché, ma,
al contempo, veniva avvertito che la dottrina copernicana era
contraria alle Sacre Scritture e, per ciò stesso, non andava né
difesa, né divulgata. La lettera, ancorché concordata nel mese
di febbraio, fu stilata il 26 maggio 1616.
Contemporaneamente,
un nemico personale di Galilei, tal padre Seguri, si inventò di
sana pianta un verbale, nel quale si testimoniava che lo
scienziato era stato, invece, ammonito dal Bellarmino ad abiurare
la teoria copernicana da lui condivisa, pena il carcere e che, a
seguito dell'ammonimento, vi sarebbe stata la promessa di
obbedienza e abiura. Maffeo Barberini, quando era cardinale,
aveva preso le difese di Galilei allorquando si erano accese, in
Firenze, le dispute sulle varie ipotesi dei fenomeni di
galleggiamento. Per cui, quando Egli fu eletto Papa, Galileo fu
indotto a sperare in un benevolo atteggiamento del nuovo pontefice
verso la sua persona e i suoi studi nonché verso la moderna
scienza.
Sul finire del
1623 Galilei diede alle stampe un volume intitolato Il
Saggiatore, con dedica al nuovo Pontefice. In quest'opera lo
scienziato, trattando del moto delle comete e di altri corpi
celesti, confermava indirettamente la validità della teoria
copernicana. Inoltre sosteneva che la conoscenza progredisce
sempre, senza mai assestarsi su posizioni dogmatiche. In altri
termini l'uomo ha il diritto-dovere di ampliare la conoscenza
senza mai aver la pretesa di pervenire alla verità assoluta.
Questa posizione, secondo lo scienziato, non era per nulla in
contrasto con la Fede.
L'opera di
Galilei fu valutata positivamente da Urbano VIII. Il Papa
ricevette ufficialmente lo scienziato a Roma nel mese di aprile
del 1624 e lo incoraggiò a riprendere i suoi studi sul confronto
tra i massimi sistemi, purché il confronto avvenisse soltanto su
basi matematiche. La qual cosa era da intendersi nel senso che una
certezza matematica, ovvero astratta, nulla aveva a che vedere con
le certezze del mondo reale. Seppur con questa limitazione, la
Chiesa di Roma sembrava aver ammorbidito la sua posizione circa la
nuova teoria.
Il 21 febbraio
del 1632, fresco di stampa, la comunità scientifica e non, ebbe
tra le mani l'ultima opera di Galilei, Dialogo sopra i due
massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, nella
quale veniva definitivamente dimostrata la validità del sistema
eliocentrico.
Le reazioni
ostili non si fecero attendere. Nell'estate dello stesso anno
Urbano VIII esternò tutto il suo risentimento in quanto una sua
tesi era stata trattata, secondo lui, maldestramente ed esposta al
ridicolo. Inoltre, nel testo, vi era più di un riferimento al
pontefice quale difensore delle posizioni più arretrate. Infine,
l'opera si chiudeva con l'affermazione che era possibile
dissertare sulla costituzione del mondo, a patto di non ricercare
mai la verità. Questa conclusione non era altro che un espediente
diplomatico escogitato pur di andare in stampa. La qual cosa aveva
fatto, giustamente, infuriare il Pontefice.
I nemici di
Galilei intravidero nel Dialogo un attacco frontale al
binomio teologia-filosofia che si riteneva fosse l'unica strada
percorribile per l'accertamento della verità, considerando la
scienza una via del tutto subordinata, asservita, cioè, alle
discipline teoriche.
Forse, però,
l'aspetto che i censori ritenevano più pericoloso del trattato,
era rappresentato dal fatto che il testo era stato scritto in
italiano e non in latino, lingua tradizionale per le opere
destinate agli studiosi. In altri termini, adoperando la lingua
italiana, ovvero volgare, come si diceva a quei tempi, lo
scienziato aveva palesemente dimostrato l'intenzione di dare la
massima diffusione al contenuto della sua opera, anche e
soprattutto al di fuori del mondo accademico.
Nel mese di
luglio del 1632, l'Inquisizione di Firenze diede ordine di
ritirare tutte le copie in commercio del Dialogo. Urbano
VIII, spinto dai gesuiti, nemici acerrimi dello scienziato, diede
ordine di inviare copia del Dialogo al Sant'Uffizio per gli
opportuni esami e di convocare Galilei a Roma presso
l'Inquisizione.
L'accusa mossa a
Galilei era che egli non si era limitato a trattare la teoria
copernicana in termini puramente matematici, bensì l'aveva fatta
propria, completamente.
Il 12 aprile del
1633 Galilei si presentò a Roma e fu arrestato. Comprendendo che
il tribunale dell'Inquisizione era intenzionato a reprimere, con
ogni mezzo, la divulgazione delle idee esposte nel Dialogo,
si offrì di apportare delle correzioni che tenessero in conto le
esigenze della Dottrina di Santa Romana Chiesa. Ciò non fu
bastevole. Il Papa, benché fosse sempre stato informato, per suo
desiderio, degli interrogatori, si era guardato bene
dall'intervenire. Ciò aveva fatto sperare in un suo intervento a
favore del pisano. La qual cosa non avvenne.
Allo scienziato
fu imposto un pubblico atto di abiura. Diversamente avrebbe dovuto
subire tutte le pene riservate agli eretici. Galilei dovette
piegarsi. Con l'atto di abiura si impegnava, altresì, a non
divulgare più, in avvenire, le idee copernicane e a denunciare al
Sant'Uffizio chiunque, in futuro, ne avesse tentato di riprendere
la divulgazione. Ciò accadeva nell'estate del 1633.
Galilei fu
trasferito prima a Pisa e poi nella sua casa di Arcetri, ove gli
fu concesso di espiare il carcere tra le mura domestiche in
considerazione della sua anzianità. Aveva già 66 anni. Negli
anni a venire sopraggiunse anche la cecità che non gli impedì di
dare alle stampe in Leida (Olanda) nel 1638 un'altra opera
fondamentale del suo ingegno, Discorsi e dimostrazioni
matematiche intorno a due nuove scienze (si trattava della
fisica del moto e della resistenza dei materiali).
Gli fu concesso
di trasferirsi a Firenze ove si spense nel mese di gennaio del
1642. Curiosamente, per una di quelle strane coincidenze della
Storia, nello stesso anno, precisamente nel giorno di Natale, in
Inghilterra, a Woolsthorpe nel Lincolnshire, nasceva Isacco
Newton.
Maffeo Barberini
si spense il 29 luglio 1644. Era riuscito a sfuggire a due
congiure. La Basilica di
San Pietro raccoglie le spoglie mortali di Urbano VIII in un
monumento funebre realizzato da Gian Lorenzo Bernini in bronzo e
marmo, commissionato dallo stesso Papa fin dal 1628 e completato
nel 1647.