Enrico Caruso è stato un tenore italiano e viene considerato come il grande tenore per eccellenza, grazie all'inconfondibile suggestione di uno strumento vocale unico.
Caruso nacque a Napoli, nel quartiere di San Carlo all'Arena, in via Santi Giovanni e Paolo 7, il 25 febbraio del 1873 da genitori originari di Piedimonte d'Alife, in provincia di Terra di Lavoro (confluito nella neo-costituita provincia di Caserta nel 1927 e rinominato, nel 1974, Piedimonte Matese). Il padre, Marcellino Caruso (1840–1908), era un operaio metalmeccanico mentre la madre, Anna Baldini (1838–1888), era una donna delle pulizie. La madre aveva avuto prima di lui 17 figli, tutti morti. Dopo di lui nacquero altri tre fratelli.
Dopo aver frequentato le scuole regolari, a dieci anni andò a lavorare col padre in fonderia, ma sotto l'insistenza della madre si iscrisse a una scuola serale, dove scoprì di essere portato per il disegno: iniziò a elaborare progetti di fontane per l'officina dove lavorava. Nel frattempo qualcosa stava crescendo in lui: la sua voce. Le prime arie d'opera e le prime nozioni di canto gli vennero insegnate dai maestri Schirardi e De Lutio. Nel 1888 la madre morì di tubercolosi e poco tempo dopo il padre si risposò con Maria Castaldi.
Oltre a cantare nel coro della chiesa, Enrico fece qualche apparizione in spettacoli teatrali. La sua voce nel frattempo si era irrobustita e le piccole rappresentazioni cominciarono a non bastargli più. La sua fortuna iniziò quando il baritono Eduardo Missiano, sentendolo cantare ad un funerale, nella chiesa di Sant'Anna alle Paludi una messa di Saverio Mercadante, si entusiasmò a tal punto che lo presentò al maestro Guglielmo Vergine, il quale accettò di dargli lezioni per migliorare la voce, ma pretese da lui il 25% dei suoi compensi con un contratto che sarebbe durato cinque anni.
Nel 1894 Caruso venne chiamato alle armi, ma dopo solo un mese e mezzo, grazie alle leggi in vigore a quel tempo e a un maggiore che era amante della musica, venne congedato e mandato a casa per permettergli di continuare a cantare e a studiare. Dopo le lezioni con il maestro Vergine, Caruso si sentiva ormai pronto all'esordio, ma alle prove per la Mignon di Ambroise Thomas non venne accettato. Esordì il 16 novembre 1894 con una parte ne L'amico Francesco di Domenico Morelli, percependo 80 lire per quattro rappresentazioni (poi ridotte a due a causa dello scarso afflusso di pubblico e nonostante una buona critica).
Iniziò a esibirsi nei teatri di Caserta, Napoli e Salerno, e fece la sua prima esibizione all'estero al Cairo, percependo 600 lire per un mese di lavoro. Nel 1897, a Salerno, Caruso conobbe il direttore d'orchestra Vincenzo Lombardi che gli propose di accompagnarlo nella stagione estiva a Livorno. Qui Caruso conobbe il soprano Ada Botti Giachetti, sposata e madre di un bambino. Con lei ebbe una relazione che durò undici anni, da cui nasceranno due figli: Rodolfo (1898–1951) ed Enrico junior (1904–1987). Ada lo lasciò per fuggire con Romati, il loro autista, con il quale cercò anche di estorcergli denaro. La vicenda finì in un'aula di tribunale con la dichiarazione di colpevolezza per la Giachetti, condannata a tre mesi di reclusione e a 100 lire di multa.
Nel 1898 Caruso esordì al Teatro Lirico di Milano nel ruolo di Loris in Fedora di Umberto Giordano; seguirono poi tournée in Russia, a Lisbona, Roma, Montecarlo e al Covent Garden di Londra dove interpretò il Rigoletto di Giuseppe Verdi; l'anno dopo si esibì a Buenos Aires.
Nel luglio 1899 fu Parpignol nella prima rappresentazione nel Royal Opera House, Covent Garden di Londra di La Bohème di Giacomo Puccini. Nel novembre 1899 nel Teatro Costanzi di Roma interpretò Osaka nella ripresa di Iris di Pietro Mascagni, Enzo nella ripresa di La Gioconda di Amilcare Ponchielli e con Faust in Mefistofele termina nel mese di dicembre.

Nel dicembre 1900 Caruso cantò nuovamente alla Scala, in occasione della ripresa di La Bohème, serata inaugurale della stagione lirica, diretta da Arturo Toscanini e, nel 1901 a Napoli al Teatro San Carlo dietro un compenso di 3.000 lire a recita. Qui, la tradizione o forse la leggenda vogliono che durante l'interpretazione de L'elisir d'amore abbia avuto la sua più grande delusione: la sua emozione e un'insicurezza malcelata non lo avrebbero fatto cantare al meglio. Fortemente deluso dalla reazione dei suoi concittadini e dalle critiche che gli sarebbero state rivolte (centrate sul fatto che la sua voce fosse portata maggiormente al registro di baritono piuttosto che a quello di tenore), avrebbe deciso di autoesiliarsi e di non cantare mai più nella sua città natale.
Le cronache del 31 dicembre 1901 e del 5 gennaio 1902 su Il Pungolo, il quotidiano che seguiva la vita teatrale di Napoli, riportano in realtà dell'emozione che irretì il tenore nel primo atto, rotta dagli applausi sempre crescenti fino alla richiesta del bis[1]. E ancor meglio andarono le repliche. Semmai sarebbe stata la severa ma non prevenuta critica di Saverio Procida sempre su Il Pungolo a infastidire fortemente Caruso, cui il critico rimproverò la scelta di un repertorio al di sotto delle sue possibilità vocali e interpretative. Caruso effettivamente non cantò più a Napoli, ma in realtà non cantò più in Italia[2] andando incontro al suo successo negli Stati Uniti e in Sud America.
Sempre nel 1901 interpretò Florindo nella première nel Teatro alla Scala di Milano de Le maschere di Pietro Mascagni diretto da Arturo Toscanini, e il duca di Mantova nella ripresa nel Teatro Comunale di Bologna di Rigoletto di Giuseppe Verdi. Nel febbraio 1902, nella Salle Garnier del Théâtre du Casino di Montecarlo con Nellie Melba, fu Rodolphe nella prima rappresentazione de La vie de bohème di Giacomo Puccini, e ancora il duca di Mantova nella ripresa di Rigoletto.
Primo cantante a incidere dischi
Dopo l'episodio napoletano Caruso cercò comunque di curare di più la sua voce per correggere i difetti, e di crearsi un repertorio.
L'11 aprile del 1902, a Milano, incise dieci dischi con arie d'opera per conto della casa discografica inglese Gramophone & Typewriter Company. Il cantante napoletano fu il primo a cimentarsi nella "nuova tecnologia", fino ad allora snobbata dagli altri cantanti, con grande successo. Fu il primo artista nella storia a vendere più di un milione di dischi, con l'aria Vesti la giubba dall'opera Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, incisa nel 1907. Il singolo della Victrola nella versione di Caruso venne premiato con il Grammy Hall of Fame Award 1975.
Nel maggio 1902 interpretò ancora il duca di Mantova nella ripresa al Royal Opera House, Covent Garden di Londra di Rigoletto e in dicembre nella ripresa al Teatro Costanzi di Roma. Il 6 novembre 1902 fu Maurizio nella première nel Teatro Lirico Internazionale di Milano di Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea. Nel gennaio e marzo 1903 si esibì ancora come Faust in Mefistofele al Teatro Costanzi di Roma.
Filippo Galante e Enrico Caruso da una cartolina autografa del pittore inviata al fratello Giuseppe Albino a Tivoli, RM. Collezione Angelo Trusiani, Roma
A novembre del 1903 si recò negli Stati Uniti, quando ancora stava con la sua amata Ada: il contratto col Teatro Metropolitan di New York lo ottenne grazie alla mediazione del banchiere Pasquale Simonelli, e il suo debutto avvenne il 23 novembre con il duca di Mantova nella ripresa di Rigoletto. Il pubblico gli chiese di bissare La donna è mobile.
Passato l'impasse della prima, ebbe un tale successo con le successive rappresentazioni da diventare l'idolo dei melomani dell'epoca. Sempre nel 1903 al Metropolitan Opera House fu Radamès in Aida, Cavaradossi in Tosca (bissando E lucevan le stelle), Rodolfo ne La bohème, Canio in Pagliacci (bissando Vesti la giubba) e Alfredo ne La traviata. Nel gennaio 1904 interpretò Edgardo ne Lucia di Lammermoor e Nemorino ne L'elisir d'amore.
Caruso stesso commissionò a Tiffany & Co. la produzione di una medaglia in oro 24 carati col suo profilo, per ricordo delle sue recite al Metropolitan di New York, da distribuirsi tra i suoi intimi.
Caruso pretendeva ingaggi esorbitanti, ma era anche capace di cantare gratis per allietare gli emigranti. Non ci fu solo la fama in America per Caruso: il tenore subì anche la gelosia e l'invidia di chi lo fece accusare di molestie sessuali a una giovane sconosciuta e gridò allo scandalo per un bacio scambiato in scena con la soubrette Lina Cavalieri. Caruso venne condannato a pagare un'ammenda, subendo un'ingiustizia e una cocente umiliazione.
Nel 1904 in marzo fu ancora il duca di Mantova nella ripresa nella Salle Garnier del Théâtre du Casino di Montecarlo di Rigoletto; in aprile comparve nella prima rappresentazione nel Théâtre Sarah-Bernhardt di Parigi con Lina Cavalieri; ancora al Met nel novembre 1904 fu Enzo ne La Gioconda; in dicembre interpretò Gennaro nella Lucrezia Borgia, bissando Com'è soave, e nel febbraio 1905 Raoul de Nangis ne Les Huguenots e Riccardo in Un ballo in maschera.
Nel maggio 1905 fu Loris Ipanov nella prima rappresentazione nel Théâtre Sarah-Bernhardt di Parigi di Fedora di Umberto Giordano, ancora con Lina Cavalieri.
Al Metropolitan nel 1905 in novembre fu Fernando ne La Favorita; in dicembre Elvino ne La sonnambula; nel 1906 in gennaio Faust nell'opera omonima; in febbraio Lionel in Martha, bissando M'appari e Don José in Carmen; in dicembre il Conte Loris Ipanov in Fedora, sempre con Lina Cavalieri: visto l'entusiasmo del pubblico al termine del II atto, Enrico Caruso e Lina Cavalieri ne bissarono la scena finale.
Nel gennaio 1907 interpretò Maurice nella prima rappresentazione alla French Opera House di New Orleans di Adriana Lecouvreur, con Lina Cavalieri; al Metropolitan, Vasco de Gama ne L'Africaine e Des Grieux in Manon Lescaut con Lina Cavalieri; ancora al Met in febbraio fu Pinkerton in Madama Butterfly; in novembre Maurizio in Adriana Lecouvreur con Lina Cavalieri; in dicembre Osaka in Iris; nel 1908, in marzo, Manrico ne Il trovatore; e in dicembre Turiddu in Cavalleria rusticana, diretto da Toscanini.
La sua versione registrata di Celeste Aida nel 1908 verrà premiata con il Grammy Hall of Fame Award 1993.
Gli ultimi anni
Nel 1909 Caruso incise una serie di ventidue canzoni napoletane che comprendeva anche Core 'ngrato, scritta da Riccardo Cordiferro e da Salvatore Cardillo e ispirata alle sue vicende sentimentali dopo l'abbandono da parte della Giachetti. Nello stesso anno venne operato a Milano per una laringite ipertrofica, intervento che sul momento non compromise la sua carriera, tanto da consentirgli di continuare le sue tournée per il mondo, senza trascurare recite per beneficenza durante il periodo della guerra.
Nel gennaio 1910 fu Federico in Germania diretto da Toscanini al Metropolitan; in giugno, Faust e Othello nelle riprese parziali al Théâtre de l'Opéra di Parigi di Faust di Charles Gounod, e del 3° atto di Othello di Giuseppe Verdi; in novembre, Rinaldo nella prima rappresentazione di Armide di Christoph Willibald Gluck, al Metropolitan Opera House di New York, diretto da Arturo Toscanini; il 10 dicembre, Dick Johnson nella première di La fanciulla del West di Giacomo Puccini.
Al Wiener Staatsoper nel 1912 fu Gustaf III in Un ballo in maschera, e Mario Cavaradossi in Tosca; nel 1913, Des Grieux in Manon (Massenet) diretto da Toscanini; nel 1914, Julien nell'opera omonima di Gustave Charpentier; e nel 1915 Samson in Samson et Dalila.
Nel 1915, in marzo, interpretò Arturo Buklaw nella ripresa di Lucia di Lammermoor alla Salle Garnier del Théâtre du Casino di Montecarlo; in aprile, Canio nella ripresa di Pagliacci Ruggero Leoncavallo; nel 1916, Nadir in Les pêcheurs de perles al Metropolitan; nel 1918, Flammen in Lodoletta, Jean of Leyden ne Le prophète con Claudia Muzio, Avito ne L'amore dei tre re ancora con la Muzio, e Don Alvaro ne La forza del destino con Rosa Ponselle.
Il 28 agosto del 1918 sposò Dorothy Benjamin (1893–1955), ragazza statunitense di buona famiglia, dalla quale ebbe una figlia, Gloria (1919–1999).
Nel 1919 al Met cantò in un concerto dedicato ai suoi 25 anni di carriera e fu Eléazar ne La Juive con la Ponselle.
Malattia e morte
Dopo una lunga tournée in Nordamerica, nel 1920, la salute del tenore iniziò a peggiorare. Varie le ipotesi al riguardo: suo figlio Franco, per esempio, collocava l'evento scatenante in un incidente occorso durante il Sansone e Dalila del 3 dicembre, quando il tenore fu colpito al fianco sinistro da una colonna crollata dalla scenografia. Il giorno dopo, prima della rappresentazione di Pagliacci, Caruso ebbe un eccesso di tosse e lamentò un forte dolore intercostale.
L'11 dicembre, il tenore ebbe una forte emorragia alla gola: la rappresentazione fu sospesa dopo il primo atto. Il 24 dicembre fece la sua ultima apparizione al Met con Eléazar ne La Juive: complessivamente Caruso andò in scena per 863 rappresentazioni al Metropolitan.
Solo il giorno di Natale, quando il dolore si era fatto insostenibile, gli fu diagnosticata una pleurite infetta. Operato il 30 dicembre al polmone sinistro, trascorse la convalescenza in Italia, a Sorrento; qui fu raggiunto dal medico Giuseppe Moscati il quale fu però contattato quando ormai ben poco restava da fare. Trasportato da Sorrento a Napoli, Caruso vi morì il 2 agosto 1921, assistito dalla moglie e da chi gli voleva bene all'età di 48 anni. Si racconta che Lucio Dalla ospite nella stanza dell'albergo di Sorrento, dove Caruso aveva trascorso gli ultimi giorni di vita prima di trasferirsi a Napoli, si sentì talmente ispirato che compose la sua celeberrima canzone "Caruso".
È sepolto a Napoli, in una cappella privata nel cimitero di Santa Maria del Pianto in via Nuova del Campo (Doganella), a pochi metri dalla tomba di Antonio de Curtis, detto Totò.