Personaggio storico Francesco Della Rovere

Nato nel: 1414  - Deceduto nel: 1484
Nacque il 21 luglio 1414 da una modesta famiglia savonese a Pecorile (oggi Celle Ligure) vicino a Savona (Imperiale), figlio di Leonardo della Rovere e di Luchina Monleone, sotto la signoria di Sigismondo di Lussemburgo. Entrò nell'ordine francescano e studiò filosofia e teologia all'Università di Pavia. 

Grazie alle notevoli doti intellettuali, Francesco della Rovere poté dedicarsi all'attività didattica, insegnando in molte università italiane, tra cui Venezia (lettore di filosofia, 1439-1441), Padova (docente di logica, aprile 1444-maggio 1446). Venne nominato prima ministro della provincia francescana della Ligura (1460), e poi ministro generale dei francescani a Perugia il 19 maggio 1464, incarico che gestirà con dedizione e fermezza d'animo e che manterrà fino al 1469, eliminando gli individui indegni e cercando di ripristinare la moralità nei vari monasteri. Tale attività indefessa fu premiata, grazie agli elogi del Cardinale Bessarione, con la nomina a cardinale di S. Pietro in Vincoli da papa Paolo II, il 18 settembre 1467. Successivamente, fu abate di Sant'Eustachio di Nervesa nel Trevigiano.

Francesco Della Rovere si dimostrò anche un raffinato scrittore e un acuto teologo. All'inizio degli anni '60 compose, in opposizione ai Domenicani, il trattato De Sanguine Christi, in cui difende l'idea di Giacomo della Marca secondo cui il sangue di Cristo versato prima della Passione non avrebbe alcun valore salvifico. L'opera del teologo Della Rovere, però, tenta nel contempo di conciliare l'idea di Della Marca con quella dei Domenicani, i quali sostenevano che il sangue del Redentore poteva avere valore salvifico.

Dopo la morte di Paolo II, avvenuta il 26 luglio, 18 cardinali si riunirono in conclave il 2 agosto. L'elezione del cardinale Della Rovere, caldeggiata dal duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, fu quasi all'insegna della simonia: il nipote di Della Rovere, l'assistente del Conclave Pietro Riario, mercanteggiava con i vari cardinali perché i voti convergessero sullo zio[4]. Così, grazie alle pressioni dei cardinali Latino Orsini, Rodrigo Borgia e Francesco Gonzaga, i porporati il 9 agosto all'unanimità proclamarono Della Rovere nuovo pontefice, che assunse il nome di Sisto IV in omaggio al santo del giorno. Fu incoronato il 25 agosto del 1471 dal cardinale protodiacono Rodrigo Borgia, dopo essere stato consacrato prima vescovo dal Cardinale Guillaume d'Estouteville, come si apprende da recenti studi di genealogia episcopale.
Sisto IV, appena eletto al soglio pontificio, appoggiò una crociata contro l'Impero Ottomano, divenuto estremamente aggressivo e minaccioso nei confronti dell'Europa. Pertanto, dopo aver inviato vari legati presso gli stati europei, il pontefice affidò al cardinale Oliviero Carafa la guida di 10 galee pontificie (unite a quelle veneziane e napoletane) per attaccare il sultano Maometto II. Le liti fra i coalizzati si conclusero nella disfatta quando le milizie cristiane fallirono nella conquista della città di Smirne (la raccolta di fondi presso gli abitanti per sostenere l'impresa ebbe più successo dei tentativi di prendere con la forza la città). Nonostante ciò, Sisto decise di onorare le vane imprese militari del Carafa con un festoso carnevale nel 1473.

La seconda crociata fu invece dettata dalla necessità di difendere l'Italia dalla minaccia dei Turchi, i quali avevano conquistato Otranto l'11 agosto 1480, città sotto assedio dal 28 luglio da parte di una flotta di 150 navi con a bordo diciottomila uomini. Gli stati italiani, fino a quel momento impegnati in guerre fra di loro, si riunirono prontamente in una lega militare. La città di Otranto fu liberata l'8 settembre del 1481. Pacifico da Novara fu inviato per bandire la crociata.

Sisto IV confermò il Giubileo indetto dal predecessore Paolo II con la bolla Salvator Noster del 26 marzo 1472. Il Giubileo fu funestato da eventi avversi: l'esondazione del Tevere e la conseguente pestilenza causarono un notevole deflusso di pellegrini; lo stesso Papa dovette mettersi in salvo fuori Roma.

Con la bolla Cum Proeexcelsa del 27 febbraio 1477, Sisto IV istituì la festa (8 dicembre) dell'Immacolata concezione della Vergine Maria, promuovendo anche la recita del rosario[14]. Fece inoltre consacrare la Cappella Sistina alla Maria Assunta in cielo.

Sisto acconsentì all'inquisizione spagnola, in seguito all'emanazione di una bolla del 1º novembre 1478 che istituiva un inquisitore a Siviglia, sotto pressione politica di Ferdinando II di Aragona. Cionondimeno, Sisto discusse su protocollo e prerogative della giurisdizione, fu scontento degli eccessi dell'inquisizione e prese misure per condannare gli abusi più plateali nel 1482 ma, grazie agli accordi con Ferdinando e Isabella di Castiglia che potevano nominare inquisitori uomini di loro fiducia, fu nominato il fanatico cardinale Torquemada come inquisitore generale, confermato poi dallo stesso Sisto.

Nel 1478 Sisto IV abrogò gli ultimi decreti del Concilio di Costanza che potessero porre limite all'autorità papale. Davanti però alla politica mondana del Papa, il domenicano Andrea Zamometic (1420 ca. - 1484), un tempo amico di Sisto e ora ambasciatore dell'imperatore Federico III, entrò in contrasto con gli scandali della corte romana (alcuni suppongono che avesse litigato con Papa Sisto per la mancata nomina a cardinale). Fuggito da Roma, si rifugiò a Basilea ove tentò, il 25 marzo del 1482, di convocare un Concilio ecumenico volto a giudicare il Papa ma quest'ultimo, ribadendo l'inappellabilità del clero alla convocazione di un Concilio Ecumenico senza il consenso del Pontefice e lanciando l'interdetto su Basilea (1483), riuscì ad avere la meglio. Arrestato, Zamometic si impiccò nella sua cella nel 1484.

Sisto IV continuò lo sterile dibattito con Luigi XI di Francia, che continuò a difendere la Prammatica sanzione di Bourges (1438), la quale forniva il consenso reale ai decreti papali prima che questi venissero promulgati in Francia e formava l'inamovibile chiave di volta dell'indipendenza della Chiesa gallicana.

Per comprendere le mosse politiche di Papa Della Rovere, bisogna prima sottolineare l'enorme influenza che ebbero su di lui i suoi parenti. Il suo pontificato, infatti, fu caratterizzato da una politica nepotista ancora più tenace di quella dei suoi predecessori. Sisto IV contava numerosi parenti: 4 sorelle, 2 fratelli e 15 nipoti, due dei quali (Giuliano della Rovere e lo scapestrato Pietro Riario che, morto prematuramente a 28 anni, fu sostituito da Raffaele Riario) furono elevati al rango cardinalizio già dal primo concistoro; si diedero alla carriera politica, invece, il nipote ed ex mercante di stoffe Girolamo Riario (per il quale Sisto IV volle il dominio di Imola e di Forlì) e Giovanni della Rovere, che fu nominato prefetto dell'Urbe. Sulla politica estera di Sisto influì in modo preponderante Girolamo Riario che, completamente ignorante di politica e tutto intento al guadagno personale, gettò Sisto IV in una serie di guerre infruttuose che dilapidarono le finanze papali (che poterono essere parzialmente reintegrate grazie ai proventi del Giubileo del 1475 e all'istituzione della Dataria apostolica).

La politica spregiudicata del Riario e il carattere violento di lui suscitarono varie rivolte nell'Urbe e nella Campagna romana nel 1482. Nel tentativo di stringere legami con gli Orsini, il Riario si mise palesemente contro i Colonna e i Savelli i quali, per rappresaglia, scatenarono le loro bande armate per Roma e per tutto il contado circostante, minando così l'autorità pontificia.

Il primo obiettivo del Riario fu la Firenze di Lorenzo il Magnifico. Il Medici, contrariato con Papa Sisto per l'occupazione di Imola e Faenza, era in rapporti molto tesi anche per la mancata nomina cardinalizia del fratello Giuliano. Il Riario, intenzionato a crearsi un vasto principato in Toscana, prese contatti con i Pazzi, banchieri avversari dei Medici per il controllo delle istituzioni cittadine ai quali Sisto IV affidò la sua fiducia nei prestiti e, forse, anche con Federico da Montefeltro. Preparato il complotto, questi fu perpetrato il 26 aprile del 1478 durante la Santa Messa nel Duomo di Santa Maria del Fiore: Giuliano rimase ucciso, mentre Lorenzo scampò alla morte. La vendetta di Lorenzo fu esemplare: i congiurati furono tutti giustiziati, tra cui l'arcivescovo di Pisa Francesco Salviati, che venne impiccato sulle mura del fiorentino Palazzo della Signoria. Sisto, dal momento che uccidere un ecclesiastico equivaleva a essere scomunicati dalla Chiesa, replicò con la scomunica contro Lorenzo (la bolla Ineffabilis et summi patris providentia del 1º giugno[2]/agosto 1478) e due anni di guerra contro Firenze. La guerra contro Firenze fu un insuccesso, perché nessuno degli altri "cripto-congiurati" intervennero per salvare il Papa. Da questa inutile e dispendiosa guerra, Sisto fu paradossalmente salvato dalla conquista di Otranto da parte dei Turchi nel 1480: si giunse pertanto alla pace con Firenze il 3 dicembre del medesimo anno.

La pace di Lodi fu ancora una volta messa in discussione dall'atteggiamento irresponsabile di Papa Sisto. Infatti, il Pontefice (e quindi Girolamo Riario, deluso per la mancata conquista della Toscana), si impegnò nell'aggressione del Ducato di Ferrara per mettere sul seggio ducale lo stesso Riario. I due incitarono la Serenissima all'attacco nel 1482, determinando l'inizio della Guerra di Ferrara (1482-1484). Il loro assalto combinato, che vide la vittoria veneto-pontificia nella battaglia di Campo Morto (1482), venne bloccato però da un'alleanza tra gli Sforza di Milano, i Medici di Firenze, e il re di Napoli, suo alleato ereditario e di solito braccio forte del papato. Per essersi rifiutata di desistere dalle ostilità che egli stesso aveva istigato (e per essere una pericolosa rivale alle ambizioni papali sulle Marche), Sisto pose Venezia sotto interdizione fino al 1483. A causa di questi continui cambi di politica, Sisto perse credito presso i suoi alleati che, isolandolo, costrinsero il pontefice alla pace di Bagnolo nel 1484.

Sisto IV morì il 12 agosto del 1484, a causa di una febbre persistente. È sepolto nella Basilica di San Pietro, nelle Grotte Vaticane, ove riposava in un grandioso monumento funerario in bronzo, simile a un cofanetto di arte orafa opera di Antonio Pollaiolo. All'inizio del XX secolo le sue spoglie, insieme con quelle del nipote Giulio II, furono trasportate vicino all'altare di Santa Petronilla, per terra e con semplicissima iscrizione in latino, sempre nella Basilica Vaticana.

Francesco Della Rovere Dove ha soggiornato

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La Biblioteca Apostolica Vaticana ha sede nel Palazzo Apostolico ed è di certo tra le più importanti al mondo: voluta da Sisto IV nel 1475 la Biblioteca è meta di studiosi di ogni continente che... vedi

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Il Castello "I Torrioni", risalente all'alto medioevo, è una fortezza immersa nella parte medievale di Roncigliane che dopo attenti interventi di recupero offre un'ospitalità raffinata e... vedi

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