I Ruffo di Calabria sono una delle famiglie della nobiltà italiana più antiche e blasonate, già annoverate tra le sette grandi casate del Regno di Napoli. Paola, sesta regina dei Belgi e figlia di Fulco Ruffo di Calabria, ne è una discendente.
L'antichità delle origini della Magna Domus dei Ruffo di Calabria è stata per lungo tempo argomento degli scritti di agiografi e genealogisti. Simone da Lentini, vescovo di Siracusa, nella seconda metà del XIII secolo, così ne scriveva: «Rufa nobilissima et vetustissima familia, tempore romanae reipublicae magnopere vixit et usque ad meum tempus potentissime vivit». Giovanni Fiore, trattandone nel XVII, più compiutamente annotava: «ai Ruffo di Calabria si attribuiscono origini remote, come se il loro nome derivasse dal latino Rufo. I cronachisti narravano che i Ruffo e i Giuliani, famiglia poi estinta, sarebbero stati signori di vasti territori, tanto che circa il Mille "l'imperador di Costantinopoli, con esso loro collegatosi, ricuperò la Puglia e la Calabria". Altri li stimano di origine normanna: Filippo ed Errigo Ruffo, al servizio del Guiscardo, occuparono Terra d'Otranto e Basilicata».
Per certo le fonti storiche attestano unanimemente il fatto che i Ruffo fossero già fiorenti in Calabria prima dell'anno Mille. Quanto alla presunta origine romana ed alle fantasiose ricostruzioni genealogiche proposte, queste non possono che essere lette se non come una sorta di mito fondativo, una leggenda politicamente legittimante alla cui costruzione la famiglia non dovette essere, menandone gran vanto nel corso dei secoli successivi, del tutto estranea. Meno implausibile, come si vedrà, appare l'ipotesi dell'origine bizantina, per cui tuttavia valgono le stesse considerazioni espresse per la romana; quella dell'origine normanna, pur sempre su base congetturale, appare invece la più attendibile.
La grande fortuna della famiglia iniziò certamente con il conte di Catanzaro Pietro I (m.1257), che fu cortigiano dell'imperatore Federico II e da questi nominato giustiziere, gran maresciallo del regno di Sicilia e balio del figlio Corrado. Prive di fondamento, se non addirittura false ed atte solo a sminuirne la figura, appaiono le notizie contenute nella Historia de rebus gestis Frederici II imperatoris del cosiddetto Pseudo-Jamsilla, secondo cui Pietro I era di povere ed umili origini. Nominato vicario in Sicilia e Calabria da Corrado IV, venne riconfermato in questi incarichi da Corradino, ma schieratosi apertamente contro Manfredi fu privato di tutti i suoi beni e costretto all'esilio, morendo assassinato dai partigiani dell'Hohenstaufen a Terracina.
La stessa parabola politica seguì Giordano, nipote di Pietro I; anch'egli funzionario del Regno di Sicilia sotto Federico II, dapprima castellano e poi maniscalco imperiale, abbandonò successivamente gli svevi per schierarsi dalla parte di papa Alessandro IV, ma caduto prigioniero delle parte ghibellina venne prima accecato e quindi giustiziato.
Pietro II (1230-1310), dopo aver trovato rifugio in Francia con parte della famiglia, si schierò con Carlo I d'Angiò riottenendone l'investitura della contea di Catanzaro come compenso per aver tolto Amantea ai seguaci di Corradino di Svevia (1268), si distinse in seguito nella difesa di Catanzaro (1280-1281) durante la guerra del Vespro.
L'adesione al partito angioino procurò ai vari rami della famiglia Ruffo una grande potenza economica e notevole peso politico. Le interminabili guerre di successione che seguirono, prima tra angioini e durazzeschi e poi tra durazzeschi ed aragonesi, videro ancora i Ruffo protagonisti, ma divisi tra i vari contendenti a seconda della convenienza del momento.
Esemplare in questo senso la figura dell'ultimo conte di Catanzaro, Niccolò che, come partigiano degli Angiò-Durazzo, si schierò con Carlo III di Napoli contro Luigi I d'Angiò. Nominato nel 1384 viceré delle Calabrie dalla regina Margherita e amministratore vicario dei beni ecclesiastici in Calabria da papa Urbano VI, ottenne nel 1390 da Ladislao I di Napoli anche la corona di marchese di Crotone insieme a molti altri benefici. Nel 1399, perdonatagli una breve defezione a fianco di Luigi II d'Angiò, Ladislao confermerà Niccolò anche come viceré di Calabria, ciò nonostante questi prenderà di nuovo le parti degli Angiò-Valois ribellandosi, ma sul finire del 1404, dopo essersi asserragliato nella città di Crotone, verrà costretto all'esilio in Francia e spodestato di tutti i suoi beni. Niccolò farà rientro in Calabria solo nel 1420 insieme a Luigi III d'Angiò riacquistando titoli e proprietà e venendo riconfermato marchese di Crotone. Durante la guerra tra angioini ed aragonesi, Niccolò consolidò ed ampliò il proprio potere ora a scapito della parte avversa, ora a scapito della chiesa, ora a scapito degli stessi Angiò. Morì nel 1435 senza lasciare eredi maschi, di lui si ricordano due figlie: Giovannella, che sposò Antonio Colonna principe di Salerno e nipote di papa Martino V, ed Enrichetta, avventurosamente sposata ad Antonio Centelles conte di Calisano.
I Ruffo di Calabria si perpetuarono, tuttavia nel ramo dei signori di Sinopoli di cui fu capostipite Fulco, anch'egli esponente di spicco della corte sveva e rimatore della scuola siciliana. Suo nipote Guglielmo fu preferito da Roberto d'Angiò al fratello maggiore ed insignito per primo del titolo comitale su Sinopoli nel 1333-1334.
Partigiani della casa di Angiò, i Ruffo parteciparono successivamente alla congiura dei baroni, pur senza tenervi una parte di rilievo, venendo perciò spodestati dagli aragonesi di buona parte dei loro averi che riottennero solo con la riduzione del Regno di Napoli a vicereame spagnolo. In questo periodo Paolo, settimo conte di Sinopoli, acquisì la signoria di Scilla, ma fu il suo successore Fabrizio ad ottenerne per primo l'investitura a principe nel 1578.
I successori furono nel tempo insigniti anche dei titoli di marchesi di Licodia, principi di Palazzolo, duchi di Guardia Lombarda, conti di Nicotera, marchesi di Panaghia, oltreché di feudi e signorie minori. Nel corso del Seicento si assiste però ad un arresto dell'impetuoso sviluppo del casato che aveva caratterizzato i secoli precedenti, l'interesse dei Ruffo in questo periodo sembra infatti focalizzato principalmente alla gestione dei possedimenti fondiari calabresi e siciliani, piuttosto che al conseguimento di un effettivo potere politico presso la corte.
Nel Settecento con l'introduzione del catasto onciario e i primi tentativi di eversione della feudalità da parte di Carlo di Borbone, il patrimonio dei Ruffo subirà un forte ridimensionamento. Sul finire del secolo spiccherà tuttavia la figura di Fulco Giordano Antonio[35] (1773-1852), consigliere di Stato e ministro degli affari esteri del Regno delle Due Sicilie, che come ambasciatore presso la corte dì Spagna trattò il matrimonio di Maria Cristina di Borbone, figlia di Francesco I, con il re Ferdinando VII, che lo insignì dell'Ordine del Toson d'Oro e lo nominò duca di Santa Cristina elevandolo al rango ereditario di Grande di Spagna di prima classe; nel 1832 ebbe inoltre l'incarico di scortare a Napoli la principessa Maria Cristina di Savoia che andava sposa a Ferdinando II delle Due Sicilie venendo per questo decorato del collare della Santissima Annunziata.
Fulco Salvatore(1837-1875), non ebbe discendenza maschile, la figlia Eleonora Margherita (1861-1959), già titolare, per non lasciare estinguere la nobiltà dei Ruffo di Calabria, fece refuta prima del matrimonio (1878) a favore di due zii paterni di una parte dei titoli mantenendo per sé quello dei principi di Scilla: a Fulco Francesco di Paola, cui passava la linea primogenita, andarono i predicati nobiliari di principe di Palazzolo e marchese di Licodia; a Fulco Beniamino quelli di duca di Guardia Lombarda e conte di Sinopoli.
Successivamente Umberto sposerà la cugina Isabella dei Marchesi Torrigiani e dei Principi di Scilla acquisendone, maritali nomine, i titoli e riacquistando alla linea primogenita quello dei principi di Scilla; i due ebbero un solo figlio maschio, Francesco di Paola (1907-1975), che non ebbe discendenza maschile, alla sua morte quindi la linea primogenita passò a Fabrizio Beniamino (1922-2005), in capo al quale si riunirono i titoli famigliari che da lui furono trasmessi al figlio Fulco.