I Medici sono una delle più note famiglie d'Europa, protagonisti della storia italiana dal XV al XVIII secolo. Oltre ad aver retto le sorti della città di Firenze prima e della Toscana poi, dal 1434 fino al 1737, ed oltre ad aver dato i natali a tre papi (Leone X, Clemente VII, Leone XI e due regine di Francia (Caterina e Maria de' Medici) essi godono tutt'oggi di una straordinaria fama per aver promosso in misura fuori del comune e per diverse generazioni la vita artistica, culturale, spirituale e scientifica del loro tempo. Le loro straordinarie collezioni d'arte, di oggetti preziosi, di libri e manoscritti, di rarità e di curiosità si sono conservate praticamente integre fino ai giorni nostri e sono alla base del patrimonio di molte delle più importanti istituzioni culturali di Firenze.
La famiglia proveniva dal contado del Mugello e trae origine da un certo Medico di Potrone, nato intorno al 1046. Alcuni esponenti della famiglia, tutti discendenti di Medico di Potrone, tra il Duecento e il Trecento si guadagnarono una ricchezza ragionevole con le manifatture laniere che in quel tempo videro un periodo di boom nelle richieste, in Italia e all'estero, soprattutto in Francia e Spagna. Agli inizi del Trecento i Medici avevano già avuto due gonfalonieri di Giustizia (la massima carica della Repubblica fiorentina) e per tutta la prima metà del secolo fecero parte dell'oligarchia che dominava la città. Solitamente le fonti e la tradizione letteraria ricordano che i Medici erano originari del Mugello, la zona a nord-est di Firenze oggi comprendente i territori comunali di Barberino di Mugello, San Piero a Sieve, Scarperia, Borgo San Lorenzo e Vicchio. Ma tale informazione non ha fondamenti documentari certi e si basa sul fatto che dal XIV secolo i Medici risultano essere proprietari fondiari della zona. Era infatti naturale per i mercanti del Duecento, che alimentavano le loro fortune economiche in città, acquistare terre nella zona del contado da cui provenivano. In compenso numerose sono le leggende fiorite soprattutto in epoca granducale (XVI-XVII secolo), quando la fantasia e la penna degli eruditi di corte si esercitavano a dar lustro alle origini della stirpe allora regnante in Toscana. Secondo un manoscritto secentesco oggi nella Biblioteca Moreniana, in epoca altomedievale i Medici furono legati agli Ubaldini, allora feudatari molto potenti nel Mugello, e almeno dal 1030 possedevano i castelli di Castagnolo e di Potrone appunto, situati presso l'odierna Scarperia. Il manoscritto della Biblioteca Moreniana n. 24 intitolato "Origine e discendenza della casa dei Medici di Firenze", è stato attribuito a Cosimo Baroncelli (1569-1626), cameriere di Don Giovanni de' Medici. La medesima fonte riporta inoltre un racconto dai toni fiabeschi che intende nobilitare le origini della schiatta medicea e del suo stemma. Questa sorta di romanzo cortigiano presenta come capostipite un certo Averardo de' Medici – nome poi ricorrente nella famiglia fra Due e Trecento, che fu un comandante dell'esercito di Carlo Magno, imperatore nonché ‘rifondatore' di Firenze. Una volta il valoroso Averardo, mentre era impegnato a liberare il territorio toscano dall'invasione dei Longobardi, sconfisse un gigante chiamato Mugello, che terrorizzava la zona omonima dell'Alta Val di Sieve. Durante lo scontro, il gigante Mugello conficcò la propria mazza dentata (o forse le palle del flagello) nello scudo dorato di Averardo: i segni rimasti impressi sull'arma del cavaliere suggerirono l'emblema araldico delle palle o “bisanti” nel blasone mediceo. Così, dopo la mitica impresa di Averardo, i lontani avi di Cosimo il Vecchio e Lorenzo il Magnifico si sarebbero trasferiti nella regione del Mugello. La notizia che i Medici si insediassero in Mugello in epoca tanto antica sembra, però, ridimensionata da un'altra testimonianza, più attendibile. Infatti, il Libro di memorie di Filigno de' Medici scritto nel 1374 ricorda che i Medici compirono i primi consistenti acquisti di terre in Mugello fra il 1260 e il 1318, mentre possedevano immobili di una certa rilevanza a Firenze almeno già dal 1169. Utilizzando gli scarsi dati disponibili, risulta in ogni caso difficile stabilire se i Medici, agli albori della loro storia siano stati proprietari terrieri molto agiati che hanno cercato in città nuove occasioni di ascesa e sviluppo oppure se invece siano stati cittadini abbienti che per estendere la loro influenza e il loro potere hanno realizzato alleanze propizie con famiglie nobili e investimenti nelle campagne.
Le prime notizie certe sui Medici, sia pure scarne e frammentarie, si hanno comunque a partire dal XII secolo.
Dal Libro di memorie scritto nel Trecento da Filigno de' Medici, si ricava che già allora i suoi avi erano residenti a Firenze: nel 1169, con i Sizi e altri, fecero costruire la torre nel popolo di San Tommaso presso il Mercato Vecchio (nella zona oggi fra piazza della Repubblica e via de' Medici); inoltre, nel 1180 i Medici e i Sizi andarono davanti al vescovo Giulio per contendersi il patronato sulla medesima chiesa di San Tommaso (detta anche di San Famaso). Fra il XII e il XIII secolo visse Giambuono considerato il capostipite della stirpe. Dal Duecento si hanno le prime notizie documentarie sui membri della famiglia, a cominciare da un atto del 1201, in cui viene citato Chiarissimo di Giambuono fra i delegati della Repubblica fiorentina firmatari di un patto con i senesi. Nella prima metà del XIII secolo, i Medici si dividono in tre linee discendenza principali, facenti capo rispettivamente a Bonagiunta, Chiarissimo e Averardo.
È documentato nel 1216 come consigliere del Comune e nel 1221 come testimone di un atto. Figli di Bonagiunta furono Ugo e Galgano, creditori del conte palatino Guido Guerra. Alla metà del secolo Ugo sposò Dialta di Scolaio Della Tosa, famiglia nobile e prestigiosa, con la quale il ramo di Bonagiunta entrava così in consorteria.
Dal matrimonio nacquero Scolaio e Gano (o Galgano). Fra il 1267 e il 1268 Scolaio fu fra i “maggiorenti” del partito guelfo. Nel 1269 i due fratelli, ancora proprietari della torre di San Tommaso, furono risarciti dei danni inferti dai ghibellini sui loro beni immobili al Mercato Vecchio. Figlio di Gano fu Bonagiunta, citato nel 1278 con Averardo fra i consiglieri cittadini del nuovo governo guelfo. Negli atti di pace fra guelfi e ghibellini stipulati dal cardinale Latino Malabranca Orsini vi sono fra i firmatari guelfi, Scolaio e Bonagiunta.
Ardingo, figlio del guelfo Bonagiunta, sembra essere il primo ad assumere prestigiose cariche pubbliche: infatti, fu eletto priore delle Arti nel 1291, nel 1313 e nel 1316; fu inoltre tesoriere del Comune e Gonfaloniere di Giustizia nel 1296 e nel 1307 (il primo della famiglia); sposò infine la nobile Gemma de' Bardi. Suo fratello Guccio fu anch'egli gonfaloniere nel 1299. Fra il 1296 e il 1343 Ardingo e altri undici componenti della famiglia Medici assunsero il titolo di priore per ben 27 volte. Inoltre il figlio di Ardingo, Francesco, seguì le orme paterne e fu anch'egli un importante uomo politico: fu tra i XIV probiviri incaricati di ripristinare il governo repubblicano dopo la cacciata del Duca di Atene nel 1343 (per mano del quale un altro Medici, Giovanni di Bernardo, era stato decapitato lo stesso anno), mentre nel 1348, l'anno della Peste nera, fu gonfaloniere di Giustizia. In generale il ramo di Bonagiunta fra Due e Trecento risulta abbastanza impegnato in politica e onorato da prestigiose cariche pubbliche, grazie anche al legame di consorteria con i Della Tosa. Alcuni della famiglia svolsero un'attività bancaria, sia pure probabilmente modesta, alimentata fin dall'inizio dal prestito a interesse, ma ben presto dovettero far fronte a una forte crisi economica. Così nel 1348 i discendenti di Bonagiunta vendettero le case e il terreno acquistato pochi decenni prima sulla direttrice oggi su via Martelli – via Cavour, dove poi sarebbe sorto il quattrocentesco Palazzo Medici.
L'ultimo rappresentante della linea maschile discendente da Bonagiunta fu Fantino, socio di Giovanni di Bicci fra il 1422 e il 1426 e bisnipote di uno dei fratelli di Ardingo. Tale discendenza si estinse alla metà del Quattrocento.
Chiarissimo di Lippo di Chiarissimo risulta nel 1240 creditore nei confronti del monastero di Camaldoli e nel 1253 fu nominato cavaliere. Suo figlio Giambuono fu ufficiale dell'esercito riunito per affrontare i senesi nella rovinosa Battaglia di Montaperti. Fra gli eletti al Priorato delle Arti nel 1322 ci fu Bernardo di Giambuono, che ai primi del Trecento fra le schiere dei guelfi Neri fu responsabile di violenze efferate nei confronti dei Bianchi. Anche il figlio Giovanni di Bernardo, nonostante una condanna a morte per omicidio poi revocata, fu ripetutamente chiamato al Priorato delle Arti e ad altre importanti cariche pubbliche: fu infatti gonfaloniere della Repubblica nel 1333 e nel 1340, ambasciatore a Lucca nel 1341 e venne decapitato nel 1343 per ordine del Duca di Atene, a causa delle sue simpatie popolari. Un suo cugino, Bonino di Lippo (Filippo) di Chiarissimo fu anche lui gonfaloniere nel 1312. Suo nipote Salvestro di Alemanno, bisnipote di Chiarissimo, è forse il Medici più celebre del Trecento per aver partecipato al tumulto dei Ciompi nel 1378.
Prima di allora si era distinto per aver assunto prestigiose cariche pubbliche e importanti compiti diplomatici. Nel 1351 si impegnò con successo nella guerra contro i Visconti in difesa del castello di Scarperia. Nel 1378 era gonfaloniere, quando lasciò emergere incontrollata la rivolta capeggiata da Michele di Lando, per opporsi ai suoi avversari politici di stampo conservatore. Per questo fu condannato all'esilio nel 1382 per cinque anni. Morì nel 1388 e fu sepolto in Duomo. Misera sorte fra avventatezze e prevaricazioni toccò anche ai famigliari di Salvestro: il figlio Niccolò fu assassinato nel 1364; venne accusato del reato lo zio Bartolomeo di Alemanno, che riuscì a farsi annullare la condanna a morte. Costui nel 1360 tentò un colpo di Stato. Nel 1377 Africhello di Alemanno, un altro fratello di Salvestro, fu dichiarato magnate a causa dei soprusi inferti a una povera vedova alla quale voleva sottrarre le terre. Verso la fine del secolo Antonio di Bartolomeo partecipò a una sollevazione capeggiata da Donato Acciaioli, che costò a lui e al cugino Alessandro l'esilio.
In generale nel Trecento, mentre i discendenti di Bonagiunta, come si è visto, vivevano una inarrestabile crisi economica, a molti altri esponenti della famiglia Medici toccò l'esilio, l'interdizione dai pubblici uffici o persino la condanna a morte, per atti di violenza, soprusi, aggressioni e persino omicidi.
Infine l'ultimo ramo, quello di Averardo. Costui risulta il primo Medici impegnato a comprare terre in Mugello, zona situata a nord-est di Firenze: infatti nel 1260 avviò una vasta opera di acquisti in questa area del contado fiorentino, terminata nel 1318 dal figlio omonimo. Averardo di Averardo, già priore (1309) e poi gonfaloniere (1314), divise tali proprietà fra i sei figli nel 1320.
I figli di Averardo, Jacopo, Giovenco, Salvestro, Francesco, Talento e Conte, dettero vita ad una florida attività bancaria fondando la compagnia filii Averardi, di cui però si hanno notizie solo fino al 1330. Dopo tale data non risultano altre attività finanziarie concertate in gruppo da membri della famiglia Medici, forse anche a causa dei frequenti disaccordi e contrasti sorti fra i vari componenti, di solito sollevate per questioni di proprietà o eredità. Il prestito a interesse continuò, comunque, ad essere molto praticato, anche se solo individualmente.
Un figlio di Talento, Mario, divenne gonfaloniere nel 1343. Nella difficile situazione in cui i Medici si trovarono dalla metà del Trecento, si distinsero alcune personalità che risollevarono le sorti della famiglia. In particolare Giovanni, figlio di Conte e nipote di Averardo, fu attivissimo nella vita pubblica: fu gonfaloniere nel 1349, nel 1353, nel 1356; fu vicario a Pescia (1346) e podestà a Prato (1365); venne incaricato di varie missioni diplomatiche e militari fuori dei confini fiorentini (Lucca, Piemonte, Pistoia, Siena, Milano). Nel 1351 Giovanni divenne capitano della provincia del Mugello e, con lo zio Salvestro, si impegnò nella difesa militare del castello di Scarperia dall'assedio delle truppe viscontee. L'anno seguente era a Napoli fra gli ambasciatori inviati dalla Repubblica fiorentina per rendere omaggio alla nuova regina Giovanna I. Nel 1355 con Antonio Adimari, al comando di 200 cavalieri fiorentini, scortò Carlo IV fino a Roma per l'incoronazione.
Fra il 1335 e il 1375 Giovanni e i fratelli, fra cui Filigno di Conte, comprarono per circa 9.000 fiorini d'oro 170 appezzamenti di terreno perlopiù nella zona del Mugello. Gli stessi Giovanni e Filigno si preoccuparono di accrescere anche gli immobili in città di loro proprietà, anche se vi investirono molto meno denaro rispetto ai beni fondiari in contado. Fra il 1348 e il 1373 comprarono diverse case e botteghe nell'area fra il Mercato Vecchio e il Ponte Vecchio. Essi risiedevano proprio nella zona del Mercato, come i loro avi, e lì possedevano fra l'altro la torre di San Tommaso e una loggia. Decisero però di andare a risiedere altrove e di riservare gli antichi immobili agli affari e alle attività commerciali. Nel 1349 comprarono infatti le prime nove parti di un “palagio” su via Larga. In quella medesima strada i discendenti di Bonagiunta avevano posseduto case e un terreno, venduti appena l'anno prima. Nel 1361 Giovanni di Conte e i fratelli acquistarono le rimanenti undici parti dell'edificio, che poi nel Quattrocento si sarebbero trasformati nella “casa vecchia” di famiglia. Nel 1375 i figli di Conte de' Medici risultano inoltre proprietari di altre sei case adiacenti.
Nel 1374 Filigno di Conte scrisse il Libro di Memorie che costituisce un'importante fonte di notizie sulla sua famiglia e sulle sue proprietà dal XII secolo in poi.
n generale, come si può evincere dai dati sopra riportati, i Medici furono attivi protagonisti della vita pubblica ed economica della città ben prima della loro grande ascesa, anche se è solo con essa che assunsero fama e prestigio internazionale.
Giovanni di Bicci
Giovanni di Bicci (1360-1429) fu un uomo molto ricco e, grazie alla sua benevolenza, ben amato dalla cittadinanza. Poco si sa della parte iniziale della sua vita, perché uomo assai modesto e prudente evitò di mettersi in evidenza sulla scena politica ma si dedicò solamente ad aumentare il suo patrimonio che divenne in breve tempo ingentissimo. Nonostante questa riservatezza fu Priore nel 1402, nel 1408, nel 1411 e infine nel 1421 fu gonfaloniere di Giustizia (questo dimostrerebbe che non fu mai perseguitato dal governo aristocratico, che anzi cercò di assimilarlo).
La sua solida ricchezza era nata dalla sua attività di banchiere, attraverso la creazione di una rete di compagnie d'affari, che aveva un'importantissima filiale a Roma, dove appaltava le entrate delle decime papali, un mercato ricchissimo e di grande prestigio che gradualmente riuscì a avere sgombro da altri concorrenti. Erroneamente si ritenne nell'Ottocento che Giovanni di Bicci appoggiasse l'istituzione del catasto, un sistema di tassazione che per la prima volta colpiva in maniera proporzionale in base al reddito e ai possedimenti delle singole famiglie. Una misura che colpì tutta la classe dei più abbienti a Firenze, ma che sollevò i ceti minori e i piccoli-medi imprenditori da una tassazione sempre più gravosa, in seguito alle numerose guerre contro i Visconti di Milano. Questo errore era basato su quanto era detto da Giovanni Cavalcanti nelle sue Storie fiorentine ma in realtà contraddetto dai documenti che dimostrano in modo inoppugnabile che la legge del catasto fu proposta e difesa e fatta approvare da Rinaldo degli Albizzi e da Niccolò da Uzzano, i due massimi esponenti del partito aristocratico[4]. In realtà non si trattò di vera e propria ostilità alla legge in sé, ma alle sue modalità d'applicazione, soprattutto per il fatto che i proventi della nuova tassazione sarebbero serviti per finanziare una inutile guerra contro Milano promossa dagli oligarchi e alla quale Giovanni era fermamente contrario.
Dai suoi due figli, Cosimo e Lorenzo, nacquero i due rami principali della famiglia, quello detto "di Cafaggiolo" e quello "Popolano". La sua fortuna venne ereditata solo dal figlio primogenito, Cosimo, per non frammentare il patrimonio familiare, come era usanza del tempo.
Cosimo il Vecchio
Cosimo (1389-1464) ebbe un carattere energico, nel segno del padre, anche se in sostanza molto diverso. Aveva infatti una tempra da dominatore che lo portò ad essere ancora più potente e ricco del genitore. Oltre alla notevole abilità come uomo d'affari, oltre ad essere un appassionato uomo di cultura e un grande mecenate, fu soprattutto uno dei più importanti politici del Quattrocento italiano.
Si accorse ben presto che la ricchezza familiare era ormai troppo grande per essere tutelata senza copertura politica, per via delle operazioni finanziarie di entità sempre più ragguardevoli e quindi rischiose. Perciò iniziò la sua ascesa verso le leve del potere della Repubblica fiorentina. Si manifestò subito la sua proverbiale prudenza: egli non mirava a diventare signore della città, magari con un colpo di mano o cercando di essere eletto nei ruoli più prestigiosi di governo, ma la sua figura restò in ombra, vero burattinaio di una serie di personaggi fidati che per lui ricoprivano incarichi chiave nelle istituzioni. Il potere era in quel momento detenuto in particolare dagli Albizi, da Niccolò da Uzzano, da alcuni Strozzi, Peruzzi, Castellani, ecc. Crescendo la popolarità di Cosimo ed il numero dei suoi amici, gli uomini che detenevano il potere iniziarono a vedere in lui una minaccia. Il 1º settembre 1433 venne estratto come Gonfaloniere di Giustizia Bernardo Guadagni ed una Signoria profondamente legata agli Albizi ed ai suoi adepti. Fu fatta così la volontà di Rinaldo degli Albizi. La nuova Signoria fece imprigionare Cosimo nel settembre 1433 con l'accusa di aver fomentato cospirazioni e complotti all'interno della città e di aver operato scientemente e con dolo perché Firenze entrasse in guerra con Lucca. Erano accuse confuse e false che dovevano condurre Cosimo a morte.
Mancò a Rinaldo degli Albizi la fredda determinazione di condurre le cose all'estremo. Una serie di "bustarelle" abilmente distribuite da Cosimo gli evitarono la condanna a morte con la conversione della pena in esilio, fu la cosiddetta prima cacciata dei Medici. Dopo la partenza di Cosimo per Padova e Venezia, le istituzioni repubblicane ebbero una continua instabilità.
Rinaldo degli Albizi non era uomo della stessa tempra del padre e nella situazione che precipitava non ebbe il coraggio o la forza di esercitare un controllo sulle estrazioni, errore che non ripeté invece Cosimo, che una volta al potere condizionò in maniera totale i nomi degli imborsati e di fatto evitò le avventurose estrazioni a sorte. Così nel settembre 1434 fu estratta una Signoria completamente favorevole ai Medici. Cosimo fu quindi richiamato a Firenze appena un anno dopo la sua partenza e furono mandati in esilio i suoi oppositori.
L'entrata trionfale di Cosimo, acclamato dal popolo, che preferiva i tolleranti Medici agli oligarchici e aristocratici Albizi e Strozzi, segnò il primo grande trionfo della casata medicea.
Cosimo, abilissimo politico, continuò a mantenere intatte le libere istituzioni, favorì industrie e commerci, attirandosi sempre più le simpatie del popolo e mantenendo la pace a Firenze. Nel 1458 creò il Consiglio dei Cento.
Cosimo, nominato pater patriae per l'abbellimento e lo sviluppo notevoli che diede alla città, morì lasciando lo stato nelle mani del figlio Piero (1416-1469). Questi fu un saggio regnante, ma la malattia che gli valse l'appellativo de il Gottoso, gli permise di guidare il governo della città solo per cinque anni.
Lorenzo Il Magnifico
Lorenzo de' Medici
La figura di Lorenzo il Magnifico (1449-1492), figlio di Piero è stata alternativamente nel tempo oggetto di glorificazione o di ridimensionamento. Educato come un principe, era nato con il destino già segnato dalla sua blasonatura; salì al potere alla morte del padre, senza grandi stravolgimenti. Sposato alla nobile romana Clarice Orsini fu il primo dei Medici a legare il proprio nome con un personaggio di sangue blu. A 29 anni, dopo nove anni di governo, subì il più grave attacco nella storia medicea, la cosiddetta Congiura dei Pazzi nella quale morì il fratello Giuliano e lui stesso venne ferito, ma uscendone eccezionalmente vivo. In seguito alla congiura, alla quale avevano partecipato alcuni suoi oppositori fiorentini con l'appoggio del papa e di altri stati italiani, il popolo di Firenze si schierò ancora più nettamente dalla sua parte. I suoi sostenitori (detti Palleschi in riferimento alle 'palle' presenti nello stemma mediceo) punirono duramente i responsabili, dando a Lorenzo l'occasione di accentrare ulteriormente il potere nelle sue mani, attraverso una riforma delle istituzione repubblicane, che divennero a lui subordinate.
Dal punto di vista della politica estera, Lorenzo ricucì i rapporti con gli altri stati italiani, recandovisi spesso di persona, creando la grande impresa diplomatica di una pace generale in Italia, attraverso il concetto di coesistenza pacifica.
Grande uomo di finanza e di politica, anche Lorenzo amava svagarsi con la poesia e la letteratura. Anzi la sua personalità letteraria fu di notevole levatura, tanto da offuscare anche il suo ruolo politico. Si occupò anche di filosofia, di collezionismo ed ebbe sempre l'amore appassionato per le arti in genere, delle quali aveva dopotutto appreso dai suoi predecessori il fondamentale ruolo quale strumento di prestigio e fama. È infatti grazie al suo interessamento che la Cappella Sistina, già affidata ad artisti umbri come il Perugino, viene poi affrescata dai migliori pittori fiorentini, esportando verso Roma quelle novità insigni del Rinascimento fiorentino. Sempre nella stessa ottica si può inquadrare la partenza di Leonardo da Vinci per Milano.
Nemico dichiarato di Lorenzo fu Girolamo Savonarola, che nella sua convinzione ultrareligiosa, non poteva che scontrarsi con il clima culturale di recupero dell'antico (visto dal frate come un neo-paganesimo), della centralità dell'uomo, del libero pensiero promosso da Lorenzo. Il Magnifico lo tollerava come se fosse un male minore, mantenendo con lui comunque un rispetto reciproco, tanto che tra i due non ci fu mai un aperto scontro diretto.
La seconda cacciata dei Medici (1494-1512)
Con la morte di Lorenzo, salì al comando di Firenze suo figlio Piero (1472-1503), educato fin dall'infanzia a ricoprire tale ruolo. Tutti gli occhi della città erano puntati su di lui, ed è chiaro come tutti cercassero di capire se avesse la stoffa o meno per essere all'altezza dell'incarico che ricopriva. La pace mantenuta da Lorenzo se ne andò con la sua morte e già due anni dopo Carlo VIII di Francia scendeva in Italia con il suo esercito. La crisi travolse Piero: intimorito dal sovrano e dall'esercito francese acconsentì a qualsiasi richiesta, regalando quattro piazzeforti sui confini di Toscana e spalancando le porte del regno (i cronisti più a lui avversi diffusero anche la notizia che avesse baciato le babbucce del re inginocchiandosi). Accusato di viltà e debolezza venne cacciato dalla città con una sentenza datata 9 novembre 1494. La città allora divenne uno stato "teocratico" governato da Savonarola. Il trionfo del frate domenicano però fu di breve durata: travolto dalle lotte tra le fazioni e soprattutto sopraffatto dall'opposizione con Papa Alessandro VI, venne scomunicato e condannato al rogo. Intanto la Repubblica navigò in cattive acque per la difficile situazione internazionale.
Dopo la morte di Piero, annegato nel Garigliano nel 1503, l'autorità di capo della famiglia passò al cardinale Giovanni de' Medici, che rientrò a Firenze nel 1512 dopo aver sconfitto i francesi di Luigi XII, alleati di Firenze. Con Giovanni rientrano a Firenze suo fratello Giuliano e il figlio dello sfortunato Piero, Lorenzo, che, ora ventenne, non vedeva la sua città da quando era poco più che in fasce.
I papi medicei: Leone X
Giovanni, grazie anche al sostegno del partito orsinesco al quale era appartenuta sua madre Clarice, fu eletto papa con il nome di Leone X nel 1513. Il governo di Firenze ormai avveniva nel Palazzo Vaticano invece che in Palazzo Vecchio. Leone, ricordato tra i papi più magnificenti della curia romana (o più dispendiosi, secondo i detrattori), fu un grande mecenate di artisti (soprattutto di Raffaello Sanzio e Michelangelo Buonarroti) e un nepotista senza remore. Mentre con grande soddisfazione Giuliano veniva inviato dal Re di Francia, dove, grazie ai suoi servigi, otteneva il primo titolo nobiliare, il "Ducato di Nemours", Lorenzo veniva spedito dallo zio papa in una costosa e inutile guerra contro Francesco della Rovere, signore di Urbino, al termine della quale lo incoronò "Duca di Urbino". Entrambi ebbero spose di alto lignaggio e portarono nel Palazzo Medici di Firenze un'etichetta principesca e quei modi altamente sofisticati dell'alta nobiltà che ben poco avevano a che fare con la semplicità solenne di Cosimo il Vecchio. Ma il trionfo di Leone durò ben poco, perché sia Giuliano che Lorenzo morirono poco più che trentenni di malattie, aggravate dalla predisposizione ereditaria alla gotta tipica del ramo principale della famiglia. Per i due rampolli da lui tanto amati Leone X fece costruire la Sagrestia Nuova in San Lorenzo da Michelangelo. Anche Leone morì improvvisamente ad appena 46 anni.
I papi medicei: Clemente VII
Dopo l'iniziale momento antimediceo, a Roma si scelse un papa riformatore, il fiammingo Adriano VI, che potesse combattere e ricomporre la frattura nata al tempo di Leone X con lo scisma della Riforma protestante. Ma la sua condotta, forse troppo estremista, non piacque all'ambiente della curia, che dopo la sua repentina morte, dopo appena un anno di pontificato, scelse di eleggere di nuovo un Medici, il cardinale Giulio de' Medici, già tra i più fidati consiglieri del cugino Leone X.
Clemente VII, questo il nome scelto, delegò l'amministrazione di Firenze al cardinale Silvio Passerini, mentre si questionava su chi doveva diventare il nuovo signore della città: Ippolito, figlio illegittimo di Giuliano di Nemours, o Alessandro, figlio di Lorenzo, nato da una passione con una schiava mulatta? La predilezione del papa per Alessandro, additato da molti come figlio dello stesso papa, nato quando era ancora cardinale, fu tale da far propendere la scelta su quest'ultimo, nonostante la sua pessima reputazione e la scarsa stima che i fiorentini avevano per lui.
Clemente ebbe uno dei papati più difficili della storia: scelta l'alleanza con i francesi piuttosto che con il nuovo imperatore Carlo V, con la consueta opzione di ribaltare le alleanze secondo il maggior profitto, non piacque per niente all'Imperatore, che organizzò un esercito tedesco-spagnolo, i tremendi Lanzichenecchi e marciò verso Roma, in una specie di crociata protestante contro la corruzione del papato. Tentò di bloccare i Lanzichenecchi Giovanni dalle Bande Nere, l'unico condottiero di valore della famiglia, che però morì tra grandi sofferenze dopo essere stato colpito da un archibugio in una battaglia presso il Po. Con la notizia del Sacco di Roma (1527) i fiorentini stessi si ribellarono ad Alessandro, cacciando lui e tutti i Medici dalla città (Terza cacciata).
Clemente subì il tremendo saccheggio della città e l'affronto della prigionia ad Orvieto, dopo di che l'imperatore, pentito dalla piega che avevano preso gli eventi, offrì la sua mano al papa organizzando una riconciliazione nell'occasione della sua incoronazione ufficiale a Bologna.
In cambio Clemente VII ebbe l'aiuto nella riconquista di Firenze, con il famoso assedio del 1529-1530 e l'investitura di Alessandro come Duca, che sanciva definitivamente il dominio dei Medici sulla città.
Ma mentre una tempesta si placava, ecco che il rifiuto di concedere l'annullamento del matrimonio al re Enrico VIII d'Inghilterra si trasformò in un ulteriore contrasto con il papa, e l'inizio dello scisma anglicano.
Caterina de' Medici
Caterina de' Medici (1519-1589), rimasta orfana del padre Lorenzo d'Urbino appena nata, era la nipote preferita di Clemente VII. Quando si trattò di scegliere per lei un marito, si aprirono le trattative con numerose famiglie nobili italiane ed europee. Sebbene molti criticassero la nobiltà recentissima di Caterina, la sua dote principesca e la parentela con il papa in carica facevano gola a molti. Con grande soddisfazione di Clemente Caterina andò in sposa niente meno che al delfino di Francia, destinata quindi a diventare regina quando suo marito divenne Enrico II di Francia.
Fu madre dei re Francesco II, Carlo IX, Enrico III e delle regine Elisabetta (regina di Spagna) e di Margherita (regina di Navarra e di Francia). Prima regina poi Reggente di Francia, Caterina de' Medici è una figura emblematica del XVI secolo. Il suo nome è legato alle guerre di religione contro le quali ha lottato tutta la sua vita. Sostenitrice della tolleranza civile, tentò numerose volte di seguire una politica di conciliazione con l'aiuto dei propri consiglieri, fra cui il celebre Michel de l'Hospital.
Una leggenda nera che la perseguita da tempo immemorabile ne ha fatto una persona austera, attaccata al potere e persino malvagia. Caterina de' Medici è stata poco a poco rivalutata dagli storici che oggi riconoscono in lei una delle più grandi regine di Francia. Il suo ruolo nel massacro della notte di San Bartolomeo tuttavia contribuisce ancora oggi a farne una figura controversa.
Il Duca Alessandro
Alessandro de' Medici, detto il Moro per il colore scuro della sua pelle, per via delle sue origini "impure", era stato nominato Duca da Carlo V, chiudendo definitivamente la stagione plurisecolare della Repubblica fiorentina e della sua libertas. Il governo venne accentrato nelle sue sole mani e la sua ascesa venne sancita anche dalla promessa di matrimonio con Margherita, figlia naturale dell'Imperatore Carlo V.
Il nuovo Duca però era tristemente noto per il suo carattere vizioso e crudele, improntato agli eccessi: era sempre accompagnato da un picchetto di guardie imperiali che erano abituate a terrorizzare i cittadini con improvvise e sconcertanti azioni.
Suo cugino Lorenzino de' Medici, abituato a vivere alla pari con Alessandro, fu sorpreso dal doversi sottomettere al suo nuovo rango, ma questa era solo la "punta dell'iceberg": i rapporti di complicità/odio e invidie reciproche tra i due, dal simile carattere "maledetto", sono stati di volta in volta mistificati o sminuiti dagli storici e probabilmente non si sapranno mai per la mancanza di documentazione.
Fatto sta che nel gennaio del 1537 Lorenzino, poi detto Lorenzaccio, tende un tranello al super-protetto cugino, che si presenta a lui senza le guardie, finendo accoltellato da un sicario pagato da Lorenzino. Morì così a 26 anni lasciando solo un figlio e una figlia illegittimi di pochissimi anni: anche se fossero stati accettati per la successione (cosa improbabile perché figli naturali di un illegittimo) si sarebbe aperto un difficile contenzioso per la reggenza.
Ma anche Lorenzino subì una sorte simile: profugo nel nord-Italia e poi in Francia da Caterina de' Medici, tornò e si stabilì poi a Venezia, dove lo raggiunsero i sicari di Cosimo I che lo accoltellarono appena fuori dalla casa della sua amante (1548).
Cosimo
Con la morte di Alessandro il ramo principale dei Medici, quello di Cosimo il Vecchio, era esaurito nelle ramificazioni legittime e illegittime. Nell'incertezza generale, tra le proposte di ripristinare la Repubblica o far venire a Firenze un emissario imperiale, saltò il nome di un ragazzo di diciotto anni, Cosimo (1519-1574), figlio di Giovanni delle Bande Nere e di Maria Salviati, la quale a sua volta era nipote di Lorenzo il Magnifico, quindi di recente e diretta parentela con il vecchio ramo familiare. Si dice che gli stessi fiorentini furono affascinati dal carattere mite e ossequioso del giovane fino ad allora cresciuto nell'ombra, per cui rinunciarono a quella che fu di fatto l'ultima occasione per riottenere la libertà repubblicana. Con l'investitura imperiale (unica clausola, lasciare il potere al Consiglio), la successione venne confermata. Non passò molto che il giovane mostrò il suo volto di sovrano forte (con la battaglia di Montemurlo, contro i Repubblicani guidati da Filippo Strozzi), a tratti tirannico e spietato, che tenne lo stato per 37 anni ricorrendo spesso all'uso dittatoriale del terrore: tra le pagine più nere del suo governo si ricorda la soppressione della Repubblica di Siena. Secondo le varie fonti il giudizio comunque oscilla anche parecchio: per Franco Cardini per esempio fu un sovrano saggio e lungimirante, che innegabilmente fece un'oculata gestione dello Stato, abile finanziariamente e promotore delle attività economiche, e delle arti (con la nascita di una vera e propria scuola di "artisti di corte" come il Bronzino, il Vasari, eccetera).
Trasferitosi nel Palazzo della Signoria (come a sottolineare che il potere governativo e la sua persona sono la stessa cosa), fu il primo nobile della famiglia a poter godere durevolmente di questo status: ebbe una moglie di alto rango, la bella e sofisticata Eleonora di Toledo, figlia del Viceré di Napoli, e una vera e propria reggia, quella di Palazzo Pitti, appositamente ampliato per lui e la sua corte. Dal 1569 ebbe dal papa il titolo di granduca, per il suo acquisito dominio sulla Toscana.
Francesco I
Il secondo Granduca di Toscana fu il figlio primogenito di Cosimo I, Francesco I de' Medici (1541-1587). A tratti simile al padre, talvolta dissoluto e dispotico, ed ebbe una vena però più crepuscolare, che lo portava a passare periodi di solitudine, con una sfrenata passione per tutto ciò che di misterioso ed occulto vi era nello scibile dell'epoca. Non a caso fu proprio lui a far costruire l'emblematico Studiolo di Palazzo Vecchio, permeato della cultura iniziatica e alchemica dell'epoca, o la magnifica Villa di Pratolino, dove tutto era sorpresa e meraviglia per i cinque sensi.
La sua casata era ormai alla pari delle altre casate regnanti europee, infatti ricevette come sposa niente meno che una sorella dell'Imperatore Massimiliano II, Giovanna d'Austria. Il matrimonio tra i due non si rivelò però felice: mentre nascevano solo figlie femmine (ben sei e un maschio morto in tenera età), Francesco si invaghì fatalmente di un'altra donna, la veneziana Bianca Cappello, con la quale visse una sfrontata storia d'amore, nonostante ella stessa fosse già maritata. Oltre all'inevitabile scandalo, tenuto a freno solo dalla sua posizione di capo di Stato, la Cappello era malvista dai fiorentini, accusata addirittura di stregoneria, per non parlare della famiglia granducale che la odiò profondamente. Dopo anni di clandestinità, i due rimasero entrambi vedovi (anche questa una vicenda dai molti punti oscuri) e poterono sposarsi nel 1579, anche se il loro idillio durò fino alla notte di ottobre del 1587 quando entrambi morirono a poche ore di distanza tra lancinanti spasmi della febbre terzana... o di veleno del cardinale Ferdinando? Questo enigma secolare sembrava risolto nel dicembre 2006, quando studiosi tossicologi dell'Università di Firenze trovarono resti dei tessuti epatici di Bianca e Francesco che contenevano tracce di arsenico, somministrato loro in dose letale ma non massiccia, tanto che essi patirono undici giorni di agonia. Però, nel 2010, un gruppo di ricercatori dell'Università di Pisa ha identificato nel tessuto osseo di Francesco I il Plasmodium falciparum, agente della malaria perniciosa, confermando così la morte per malaria.
Ferdinando I
Ferdinando I
Il cardinale Ferdinando de' Medici (1549-1609), secondogenito di Cosimo I, rinunciò alla porpora cardinalizia con dispensa papale quando l'improvvisa morte del fratello rese necessaria la sua salita al governo del granducato, col nome di Ferdinando I.
Se si escludono le ombre gettate solo recentemente circa la morte del fratello (riguardo alla quale una ricerca del 2009 ha escluso l'ipotesi di avvelenamento), Ferdinando fu l'unico granduca a riuscire a guadagnarsi una fama duratura: restituì ordine al paese e ripristinò l'integrità del governo; promosse una riforma fiscale e sostenne il commercio; incoraggiò il progresso tecnico-scientifico e realizzò grandiose opere pubbliche come la bonifica della Val di Chiana e il potenziamento del porto e delle fortificazioni di Livorno. In quello che allora era un modesto villaggio di pescatori egli realizzò importanti sovrastrutture, ma fu soprattutto la legge che lo dichiarava porto franco ad attirare profughi e perseguitati da tutti i paesi del Mediterraneo, facendo crescere rapidamente la popolazione e facendo così arrivare la manodopera necessaria allo sviluppo di quello che sarebbe presto diventato uno dei più attivi porti commerciali del mare nostrum.
Fu inoltre con lui che il sistema delle ville medicee raggiunse la massima estensione e splendore, grazie anche alla collaborazione dell'architetto Bernardo Buontalenti.
Maria de' Medici
Figlia di Francesco I, Maria de' Medici (1575-1642), grazie all'intercessione dello zio granduca Ferdinando, all'età di venticinque anni sposò Enrico IV di Borbone, diventando la seconda Regina di Francia di casa Medici, dopo Caterina.
Sebbene poco stimata dall'augusto consorte, Maria seppe influenzare la politica interna ed estera della Francia seicentesca. Dopo l'assassinio del marito (1610), fu nominata reggente per conto di suo figlio, il futuro Luigi XIII ancora bambino. Attorniata da consiglieri e cortigiani toscani (in verità poco amati dai francesi), ricucì i rapporti con la Spagna e prese le distanze dai protestanti. In seguito a movimenti di rivolta venne esautorata dal figlio nel 1617, quindi trovò un alleato in Richelieu, divenuto cardinale grazie al suo appoggio ed entrò nel consiglio reale nel 1624. Dopo aver visto rivoltare le alleanze che aveva costruito, nonostante la sua ferma opposizione nel 1630 perse ogni autorità e si ritirò in esilio.
Cosimo II
Cosimo II de' Medici
Alla morte di Ferdinando gli successe il figlio Cosimo II (1590-1621). Personaggio di intelligenza brillante e di vasta cultura, era ammalato di tisi, che lo portò a una morte prematura appena passata la soglia di trent'anni.
La sua figura è ricordata per due eventi principali:
La liquidazione e chiusura del Banco Medici, che aveva permesso l'ascesa familiare, ma che ormai era visto dal granduca come un'attività "indegna di un sovrano regnante";
La calorosa accoglienza e protezione offerta a Galileo Galilei, al quale egli donò la Villa il Gioiello ad Arcetri, dove il grande scienziato poté continuare in pace i suoi studi ed esperimenti.
Questo vivo interesse scientifico fu un leitmotiv di tutti i discendenti del ramo granducale dei Medici, fondatori di Accademie e protettori di scienziati, e fa da contraltare al mecenatismo verso le arti tipico del ramo di Cafaggiolo.
Decadenza ed estinzione
Dal Seicento il Granducato visse quel periodo di lenta decadenza che contraddistinse tutto il resto della penisola italiana, con la stagnazione dei commerci, le pestilenze, il provincialismo. La casa regnante non solo non seppe porre rimedio a questi problemi, ma anzi ne accelerò l'impatto con un governo mediocre. Fu un'epoca di continue interferenze femminili di reggenti, madri e mogli con matrimoni mai azzeccati, con i granduchi maschi che sembrano aprirsi tutti a una bisessualità sempre meno celata. La madre di Cosimo II, Cristina di Lorena, sua moglie Maria Maddalena d'Austria e la moglie di Ferdinando II, Vittoria della Rovere, diedero vita a specie di matriarcati: influenzate da consiglieri ecclesiastici diedero vita a uno Stato sempre più marcatamente religioso, con una malintesa severità, che sfociò via via nel conformismo e nella bigotta ipocrisia.
Non mancarono degli isolati sprazzi di luce nella generale inerzia dei governanti, soprattutto per merito dei cardinali di casa Medici: la fondazione dell'Accademia del Cimento del cardinale Leopoldo de' Medici, istituzione che continuò la ricerca scientifica secondo il metodo sperimentale di Galileo, o l'Accademia degli Immobili tramite il cardinale Giovan Carlo de' Medici, che fu all'origine del primo teatro "all'italiana", La Pergola, culla del melodramma.
Antonio Franchi, Anna Maria Luisa de' Medici, 1690-1691
Il resto fu caratterizzato da un'amministrazione sempre più apatica, ormai lontana dalle glorie del passato, come il lungo governo di Cosimo III, sordo alle richieste di un popolo sempre più affamato e in miseria per l'ingiusto gravare delle imposte, alle quali rispose ironicamente con la pompa quasi spagnolesca della corte. Già alla sua epoca si presentò drammaticamente il problema della successione: dei suoi tre figli il maggiore (il Gran Principe Ferdinando) morì di sifilide a cinquant'anni senza eredi, sua sorella Anna Maria Luisa era sterile e suo fratello Gian Gastone era manifestamente omosessuale. Mentre il destino del Granducato di Toscana veniva deciso a tavolino dagli altri sovrani europei, il sipario stava per calare sulla famiglia Medici.
L'ultimo atto della casata fu però degno della loro fama: nel 1737 Anna Maria Luisa stipulò con i nuovi successori, i Lorena (ramo della casa di Asburgo), il cosiddetto "Patto di Famiglia" che stabiliva che essi non potessero trasportare « o levare fuori della Capitale e dello Stato del Granducato... Gallerie, Quadri, Statue, Biblioteche, Gioje ed altre cose preziose... affinché esse rimanessero per ornamento dello Stato, per utilità del Pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri ».
Questo patto, scrupolosamente rispettato dai nuovi granduchi, permise che Firenze non perdesse nessuna opera d'arte e che non subisse la sorte, ad esempio, di Mantova o di Urbino, che all'estinzione della casata dei Gonzaga o dei Della Rovere erano state letteralmente svuotate dei tesori artistici e culturali. Se oggi i capolavori degli Uffizi, di Palazzo Pitti, della Biblioteca Medicea Laurenziana - solo per citare alcuni esempi più illustri - si possono ancora ammirare a Firenze e non a Vienna o in qualche altra città, lo si deve sicuramente alla saggezza, alla fermezza e alla lungimiranza di Anna Maria Luisa de' Medici.
Altri rami familiari
Genealogia famiglia Medici di Gragnano dal XIII al XVI secolo. Oltre al più celebre ramo principale di Giovanni di Bicci, diviso nel ramo di Cafaggiolo (di Cosimo il Vecchio) e quello Popolano (di Lorenzo il Vecchio) e riunito in un unico ramo detto Granducale con Cosimo I, esistono anche altri rami derivati, la cui scissione risale a prima del Trecento, con i cugini di Giovanni di Bicci, di suo padre Averardo de' Medici, eccetera. Tra questi rami altri tre hanno guadagnato col tempo la nobiltà o altri riconoscimenti.
Medici Tornaquinci - Da Giovenco de' Medici, zio di Bicci, e suo figlio primogenito Giuliano derivò il ramo dei Medici Tornaquinci, con Raffaele de' Medici che nel 1628 divenne il primo Marchese della Castellina; con il sesto Marchese, Francesco Giuseppe de' Medici, che aveva sposato Margherita Tornaquinci, dal 1730 i loro discendenti presero il nome di Medici Tornaquinci. Il ramo è tuttora esistente: Giuliano è il 15º marchese, dal 1977.
Ramo estinto - Dall'ultimo figlio di Giovenco, Francesco, deriva un secondo ramo di patrizi, estinto nel 1820.
Medici di Ottajano - Ramo Napoletano - Principi di Ottajano: dall'ultimo figlio di Giovenco, Antonio, derivò dopo tre generazioni il ramo di Ottaviano de' Medici che faceva parte degli 8 di Balìa dal 1527. Ottaviano de' Medici sposò in prime nozze Bartolomea Giugni, figlia di Alamanno Giugni ed ebbe due figli, Costanza, contessa di Donoratico e Bernardetto de' Medici. In seconde nozze Ottaviano de' Medici sposò Francesca Salviati, (figlia di Jacopo e di Lucrezia de' Medici e zia di Cosimo I), dalla quale ebbe un figlio, Alessandro de' Medici, che nel 1605 fu eletto papa con il nome di Leone XI. Questo pontificato, che avrebbe potuto portare grande prestigio a questo ramo, durò però solo 26 giorni. Bernardetto de' Medici acquistò nel 1567 da Cesare Gonzaga di Molfetta la Signoria dell'importante e grande feudo di Ottaiano (ora Ottaviano) vicino Napoli, dando origine al ramo dei Principi di Ottaiano. Questo ramo, come suddetto, ebbe alcuni matrimoni con il ramo principale dei de' Medici. Infatti Francesca Salviati era anche nipote di Lorenzo il Magnifico. Bernardetto de' Medici sposò Giulia de' Medici, figlia naturale del Duca Alessandro e di Margherita d'Austria, vedova di Francesco Cantelmi e nipote di Caterina de' Medici, Regina di Francia. Nel 1609 il nipote di Bernardetto e di Giulia de' Medici, don Bernardo, ebbe dal Re di Spagna il Titolo di Principe di Ottaiano e un suo successore, Giuseppe I de Medici di Ottajano nel 1693 ottenne anche il titolo di Duca di Sarno e grazie a matrimoni con la nobiltà napoletana ottennero ancora altri titoli. All'estinzione del ramo regnante dei Medici di Toscana, il 4º Principe di Ottaiano, Giuseppe II, nel 1737 chiese di poter accedere alla successione in base alla sua discendenza, derivata dal Duca Alessandro tramite sua figlia Giulia, però le sue istanze non vennero accolte. Questo ramo dei Principi dei de' Medici di Ottajano ebbe grossa influenza politica nel Regno di Napoli (poi dal 1815 Regno delle Due Sicilie. Infatti appartenne a questa famiglia Luigi de' Medici, il più importante statista del Regno di Napoli (poi Regno delle Due Sicilie). L'ultimo Medici principe di Ottajano in linea retta discendente da Bernardetto de' Medici fu don Giuseppe V de' Medici di Ottajano morto nel 1894 che fu il 10º principe di Ottajano, 8º duca di Sarno e 8º duca di Miranda.Estinto il ramo maschile con don Giuseppe V, i titoli di 11ª principessa di Ottajano, 9ª duchessa di Sarno e 9ª duchessa di Miranda, passarono (a seguito del D.M. del 2-10-1909 che confermò il diritto al ramo femminile) a sua sorella donna Angelica de' Medici di Ottajano morta nel 1912. Il ramo è tuttora esistente per diritto dinastico di ramo collaterale. Quindi dopo don Giuseppe V de' Medici di Ottajano (+1894) e donna Angelica de' Medici di Ottajano (+1912) il titolo di 12º principe di Ottajano e di 10º duca di Sarno, a seguito del D.M. del 20-09-1912, fu riconosciuto a don Alberto Marino (+1925) (in quanto discendente da don Marino de' Medici di Ottajano (1774 - 1835) fratello cadetto di Michele II (1771 - 1832) che fu il 7º principe di Ottajano e 5º Duca di Sarno). A don Alberto Marino successe poi don Armando che fu il 13º principe di Ottajano e 11º duca di Sarno (morto nel 1983) e successivamente don Giovanni Battista (1939 - 2015) che è stato il 14º Principe di Ottajano e 12º Duca di Sarno. Alla sua morte (avvenuta il 3-2-2015) è succeduto don Giuliano che quindi ha assunto i titoli di 15º Principe di Ottajano e 13º Duca di Sarno. Dal 1959 altri discendenti ottennero di poter usare il cognome completo di Medici di Toscana di Ottaiano.
Ramo estinto - Altro ramo napoletano è verosimilmente quello di Gragnano, dove fin dal 1269 è documentato un tal Guglielmo, "giudice et percettore di collette" in Gragnano, città in cui la famiglia si sarebbe stabilita per sfuggire alle "guerre" che dilaniavano da ormai molti anni la città di Firenze[6]. Accanto alla cura degli interessi feudali, la stirpe era riuscita ad assicurarsi alte posizioni gerarchiche in campo politico, amministrativo, giuridico, e religioso. Si ricordino su tutti: Damiano di Napoli, familiare della regina Giovanna I nel 1343, Marino (o Marinello), nominato nel 1447 da Alfonso d'Aragona "miles secretis et magister portulanus terrae Hidruntiae provintiae Basilicatae", Stefano, governatore di Massa (ante 1522) e Sorrento, Cola (o Nicola), arcivescovo di Reggio nel 1284, Ascanio, arciprete di Gragnano dal 1579 al 1594, Camillo, celeberrimo giurista (1543-1598) e cavaliere commendatore del Sacro militare Ordine di Santo Stefano, che riuscì a farsi eternare nel sepolcro di una delle più prestigiose chiese del seggio napoletano di Montagna, quella dei Santi Severino e Sossio. Ancora oggi antichi reperti architettonici disseminati fra varie chiese di Gragnano lasciano intendere lo spazio che i Medici riuscirono a ritagliarsi nella città, dove la loro sfera d'influenza comprendeva fin dalla prima metà del Quattrocento le chiese di San Marco, dell'Assunta, del Corpus Domini, di San Tommaso di Canterbury, il convento dei Carmelitani e quello degli Agostiniani Scalzi[7]. Nel 1863 lo storico Liguori la dichiarava ormai "del tutto estinta"[8].
Ramo estinto - Da Chiarissimo de' Medici, fratello del trisavolo di Averardo, derivò un quinto ramo, quello di Salvestro de' Medici, che si estinse nelle rispettive sotto-ramificazioni a più riprese: nel 1620, nella prima metà del Settecento e infine verso il 1770.
Ramo estinto - Il ramo di Vieri de' Medici fu il primo a ottenere successo nell'attività finanziaria e per la sua condotta irreprensibile fu l'unico con quello di Giovanni di Bicci a non subire un'interdizione ventennale dalle cariche pubbliche dopo alcuni incidenti che videro protagonisti gli altri Medici rivoltosi. Perso il primato economico, i suoi discendenti vissero in ombra dei parenti più importanti. Il ramo si estinse nel 1732.
Un ulteriore ramo "milanese" dal quale derivò il cardinale Giovan Angelo de' Medici, poi Papa Pio IV dal 1559, potrebbe avere una connessione risalente a prima del Trecento con il ramo fiorentino. Queste linee di parentela non sono mai state provate e la loro genealogia "presunta" fu descritta solo dopo l'elezione al papato di Pio IV. Per la mancanza di reali documenti oggi quelle ricostruzioni cinquecentesche non sono considerate attendibili.
L'interesse verso la famiglia dei Medici prese campo solo dopo l'estinzione del casato granducale, attraverso l'attenzione di alcuni studiosi stranieri, soprattutto britannici[9]. Prima della metà del Settecento è infatti raro trovare studi sui membri della famiglia del XV secolo, mentre la stirpe granducale attirava interesse al pari di altri sovrani europei, ma soprattutto per quanto riguarda fatti scandalistici, avvenimenti scandalosi e pettegolezzi. Dopotutto anche Firenze stessa e la sua arte erano tenute ancora in poco conto dai visitatori del Grand tour, che si recavano principalmente a Roma e Venezia. Per assurdo si conosceva molto di più sui fatti sanguinari di Lorenzino de' Medici, sulle amanti di Cosimo I e su Bianca Cappello che sul loro mecenatismo, sulle mosse politiche e sulla natura del governo ducale e granducale.
Questo contrasto tra tirannia e cultura continuò ad esercitare attrazione anche quando gli storici iniziarono a cancellare, grazie allo studio delle fonti, i vari pettegolezzi di depravazione che circolavano ormai diffusamente su più esponenti della famiglia.
Tra le figure che maggiormente studiate erano Cosimo il Vecchio e Lorenzo il Magnifico, quali responsabili della rinascita del sapere classico e del rinnovo nelle forme artistiche a Firenze, secondo uno schema anche troppo enfatizzato e oggi ridimensionato.
D'altro canto non mancarono le pubblicazioni che criticavano duramente i Medici, soprattutto in campo politico, come tiranni che tolsero, oltre che la libertà, la vitalità alla Repubblica fiorentina. Nel volume sulla storia di Firenze, all'interno della Universal History pubblicata a inizio dell'Ottocento, le tendenze dell'Illuminismo mettevano in cattiva luce la presa del potere dei Medici, bollati inequivocabilmente come tiranni.
Negli studi storici di matrice anglosassone dell'epoca si possono anche leggere i riflessi degli avvenimenti dell'epoca: quando Napoleone conquistava le piccole nazioni europee, si manifestò una viva ammirazione per le autonomie regionali e, dall'altra parte, biasimo per tutte le tirannie, compresa quella medicea. Nel 1812, quando Napoleone tentava di inserire la Russia nel blocco continentale contro l'Inghilterra, uno scrittore su Quarterly Review indicò Firenze come il migliore esempio di resistenza alla tirannia, specificando « non la Firenze sotto il governo dei Medici, ma durante l'età della sua vera grandezza ». Giudizi molto negativi espressero anche, tra gli altri, Adolphus Trollope e Mark Twain.
Giudizi altalenanti si manifestarono così anche nei secoli successivi: da un lato la storia "buona" dei Medici che compiono il miracolo inatteso del "Rinascimento" grazie al denaro delle loro banche; dall'altro la storia "cattiva" dei signori che tolsero la libertà a un popolo felice nella propria democrazia. Questa natura controversa fa ancora oggi parte dello stimolo all'immaginazione e dell'interesse verso la dinastia medicea.