Nel 1220 Guido Tempesta, per risanare almeno in parte la propria situazione finanziaria, cedette il feudo al conte Aldevrandino de Soprovo. Erano ceduti il castello, le motte, i mulini, numerosi mansi e terre per oltre 756 iugeri o campi padovani, le decime, i quartesi, la giurisdizione comitale sul villaggio, il giuspatronato sulla chiesa di San Nicolò o del Palù.
Da Aldevrandino il feudo passò in seguito nella proprietà del di lui figlio Soprovo il quale, nel 1245 ne cedette la metà, con i relativi diritti, al fratello Enrico.
Il castello passò quindi in proprietà del figlio di Enrico, Avanzo, il quale acquistò in seguito i beni che erano stati precedentemente alienati, ricostituendo l’integrità del feudo.
Nel 1282 Avanzo de Soprovo, mentre si trovava ad Acri in Palestina, donò il feudo ai frati Alemanni, dell’Ordine dei Cavalieri Teutonici, uno dei tanti Ordini cavallereschi sorto dopo la prima crociata con lo scopo di continuare a difendere i luoghi sacri. L’atto di donazione fu stipulato nel palazzo vecchio del maestro dell’ordine in presenza di alcuni frati tra i quali il maresciallo e luogotenente del gran maestro, Corrado Danevelt. La donazione fu confermata l’anno seguente da papa Martino IV e frate Bertoldo, gran maestro della “domus” padovana, prese possesso del feudo e ne nominò gastaldo Giovanni de Romagna. In seguito, nel 1305, Avanzo de Soprovo, pentitosi della donazione fatta, tentò invano di riavere il feudo.
Nel corso del XIII e XIV secolo il castello fu spesso centro delle lotte tra i Padovani da una parte ed i Trevigiani, i Veneziani e loro alleati dall’altra. Nel 1234 si ricorda, ad esempio, una celebre pace tra i Padovani e gli Ezzelini, signori di Treviso e di Bassano, promossa dal vescovo di Treviso e dal beato Giordano Forzatè, priore del convento di San Benedetto di Padova, stipulata proprio nella chiesa di San Nicolò.
Nel 1370 Francesco da Carrara il Vecchio, per premunirsi contro Venezia, costruì il serraglio del Muson. Era questo un poderoso argine innalzato sul lato destro del fiume mediante l’escavazione e l’allargamento del suo alveo, da Camposampiero a Oriago, costringendo il fiume, nelle periodiche piene a riversarsi in territorio nemico. Lungo tale argine fu creato un sistema di fortificazioni costituito da bastioni, casematte, torri di legno e di pietra ed avente come roccaforti i castelli di Camposampiero, Stigliano e Mirano. Nel letto del Muson furono inoltre riversate le acque del Vandura e del Rosada, in modo che si scaricasse in laguna la maggiore quantità possibile di detriti a danno di Venezia. Ai Veneziani questo atto sembrò una sfida e nel 1372 imposero ai
Carraresi lo smantellamento del castello di Stigliano. Scoppiata la guerra, nel 1373 il capitano dei Veneziani occupò Stigliano e Francesco da Carrara subì una clamorosa sconfitta.
Cinque anni dopo i Carraresi, alleati con gli Ungheresi, si presero la rivincita, sconfiggendo i Veneziani in più località, tra le quali proprio Stigliano. Nel 1388 i Carraresi replicarono contro i Milanesi, alleati dei Veneziani; i Milanesi, con un grosso corpo di spedizione comandato da Giacomo dal Verme, si erano appostati presso il Muson tra Stigliano e Mirano con l’intento di forzare il serraglio e occupare il castello di Stigliano difeso dal capitano Giacomo da Scaltenigo, il quale aveva anche costruito delle gallerie che sottopassavano il fiume Muson per il trasporto segreto di truppe a Zianigo, Castelliviero e Mirano. Appena i soldati del Dal Verme ebbero distese le loro tende, Giacomo da Scaltenigo, aiutato da Giacomo Enselmini e Andrea da Curtarolo, capitani rispettivamente dei castelli di Camposampiero e di Mirano, tagliò in diversi punti l’argine sinistro del Muson, allagando gli accampamenti nemici che, spaventati, dovettero abbandonare l’impresa e recarsi altrove.
Il castello fu tuttavia definitivamente conquistato dai Veneziani nel 1404, dopo che Malatesta da Pesaro, al servizio dei Veneziani, vinse Ludovico Buzzacarini che difendeva Stigliano, facendolo prigioniero e portandolo a Venezia.
Nel XVI secolo il castello divenne proprietà dei nobili Priuli da Cannaregio, i quali lo trasformarono in un palazzo. Una lapide murata sulla facciata sud della torre del castello ricorda i lavori di restauro e rifacimento (Stian vetustate collapsum/a Petro Aloysio Priolo patre ereptum/Angelus Maria f. perfecit/MDXXX), mentre una stanza della torre fu decorata con alcune vedute del castello e con personaggi ricordati dalla storia. Sembra si debba ai Priuli anche l’erezione (o ricostruzione), nei primi decenni del ‘600, dell’oratorio del castello dove fu posta la pala d’altare con San Marco, Sant’Antonio e la Beata Vergine, purtroppo rubata alcuni decenni fa.
Nel 1555, come ricordava in passato una lapide, purtroppo scomparsa, affissa sulla parete del ponte dei mulini, soggiornò nel castello la regina di Polonia,
Bona Sforza, accolta dal savio di terraferma Giovanni Capello, mentre era diretta ai bagni di Abano, accompagnata dai cardinali di Ferrara e di Augusta.
Un’altra visita illustre al castello si ebbe verso la fine del ‘600 da parte della duchessa di Mantova in occasione di un viaggio in Germania. Nel XVIII secolo nella proprietà del castello successero ai Priuli, prima i Venier, quindi i Fracasso. Successivamente divennero proprietari il sig. Marchi, i Montagna, l’armatore Cosulich, la Provincia di Venezia ed infine Paolo Bertan, attuale proprietario. Durante la prima guerra mondiale il castello fu adibito, come villa Farsetti, a Ospedale militare.
Il complesso consiste oggi nel castello vero e proprio (il torrione), in un annesso rustico e in una cappella privata, il tutto inserito in un vasto delimitato tra la strada Noalese a ovest e il fiume Muson Vecchio a sud. Il torrione, collocato nell'angolo sudest, rappresenta il perno del corpo principale, che si sviluppa verso ovest. Questo si articola su tre livelli conclusi da archetti pensili su mensole di pietra e da una merlatura in cotto. Al torrione si innesta inoltre, a nordest, un altro corpo di quattro piani, concluso da una cornice in cotto e dal tetto a padiglione. I fabbricati si dispongono così a "L" e su tutta la superficie si estende un seminterrato.
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